Intercettazioni telefoniche: solo un problema di tutela della privacy?

Gli strumenti esistenti sarebbero sufficienti a garantire un corretto equilibrio tra necessità investigative, informazione e privacy se i magistrati rispettassero sempre i limiti di legge e la concreta ed effettiva necessità


da Franco Abruzzo.it

INDICE
01. PREMESSA;1. LE NORME; 2. UN PROBLEMA NON SOLO ITALIANO; 3. I PROTAGONISTI DEL NOSTRO SISTEMA: MAGISTRATI E GIORNALISTI; 4. I DATI; 5. IL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI IN GIOCO; 6. LE POSSIBILI SOLUZIONI; 7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
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“A mio modesto parere, gli strumenti esistenti (magari integrati dalla previsione di una udienza o di un’altra istanza procedurale destinata a stralciare le intercettazioni non rilevanti ai fini del processo) sarebbero più che sufficienti a garantire un corretto equilibrio tra necessità investigative, diritto di informazione e tutela della privacy. Il rispetto, da parte dei magistrati, delle limitazioni di legge in materia di intercettazioni e l’utilizzo di tale strumento d’indagine solo in ipotesi di concreta ed effettiva necessità, ne costituirebbero il necessario presupposto . L’effettivo adeguamento, da parte dei giornalisti, ai principi stabiliti nel Codice della Privacy e nel Codice Deontologico, ne rappresenterebbe il coronamento. Il timore è che, nel frattempo, altri riescano ad imporre soluzioni ben più drastiche e difficilmente rimediabili”.
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di Piero Calabrò

Giudice del Tribunale di Monza

01. PREMESSA. La materia dei rapporti tra indagini giudiziarie e diritti dell’informazione ha nuovamente ripreso il centro dell’attenzione nel dibattito politico-istituzionale. In particolare, l’ostentata indignazione di numerosi esponenti politici ha investito le modalità di utilizzazione e pubblicizzazione di quel delicatissimo strumento d’indagine che è rappresentato dall’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche, regolato dal Codice di Procedura Penale. Non è, pertanto, inopportuno ribadire alcune considerazioni ed aggiornare le nostre opinioni, anche alla luce di norme e dati numerici.

1. LE NORME

Come è noto, l’intercettazione è “consentita”, previa autorizzazione concessa con decreto motivato al P.M. dal G.I.P., solo in relazione a ben delimitate gravi ipotesi delittuose (analiticamente indicate dall’art.266 CPP) e solo “quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini” (art.267 CPP).

Dal punto di vista normativo, la possibilità di pubblicare le trascrizioni delle intercettazioni eseguite in modo legittimo incontra, innanzitutto, i limiti sanciti dallo stesso codice del rito penale, in modo particolare dagli artt. 114 CPP (che disciplina il divieto di pubblicazione degli atti coperti da segreto ovvero di quelli non piu’ coperti da segreto, consentendo invece la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti dal segreto), 115 CPP (che, in aggiunta alla sanzione penale, impone la trasmissione degli atti all’organo titolare del potere di instaurare l’azione disciplinare) e 329 CPP (che indica quali sono gli atti coperti da segreto, prevedendo la ulteriore possibilità per il P.M. della secretazione in caso di necessità d’indagine).

Il Disegno di Legge n.1638, predisposto dall’allora ministro Mastella ed approvato il 17.4.2007 da uno solo dei rami del Parlamento, era destinato ad estendere il divieto di pubblicazione fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

Il nuovo Esecutivo ha preannunziato un diverso Disegno di Legge, che addirittura dovrebbe essere destinato a restringere la possibilità di disporre intercettazioni telefoniche alle sole ipotesi di reati associativi di stampo mafioso e di terrorismo.

Per le intercettazioni acquisite in modo illegale, che qui non interessano, è intervenuto il recente Decreto Legge 22.9.2006 n.59 convertito nella legge 20.11.2006 n.281, che ne ha regolamentata la distruzione, disciplinando le conseguenze penali e risarcitorie del loro illecito uso.

Quanto, invece, al versante della tutela della riservatezza dei dati personali, parecchie disposizioni sono rinvenibili nel testo del DLgs 30.6.2003 n.196 (c.d.”Codice della Privacy”).

Il Titolo I, nello stabilire quale principio generale che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”(art.1), prevede che il trattamento“si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali” (art.2) , intendendosi come dato personale “qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica,ente o associazione,identificati o identificabili,anche indirettamente,mediante riferimento a qualsiasi altra informazione”(art.4 lett.b) ivi compresi i dati giudiziari, anche solo rivelatori della “qualità di imputato o di indagato”(art.4 lett.e).

Il Titolo III, nell’indicare le regole per il trattamento dei dati, prevede che il rispetto di quelle che sono contenute nei “Codici di Deontologia” (ivi compreso quello dei giornalisti) “costituisce condizione essenziale per la liceità e correttezza” del trattamento stesso (artt.3-4).

Il Titolo XII, nel disciplinare le regole attinenti l’attività giornalistica, dispone che il Codice di Deontologia relativo al trattamento dei dati debba prevedere “misure e accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati, in particolare per quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” e che in caso di violazioni delle prescrizioni contenute nel Codice stesso “il Garante può vietare il trattamento”(art.139).

Pur prevedendo, inoltre, l’esenzione da alcune restrizioni previste per altre categorie (ad esempio, in materia di dati giudiziari), stabilisce che, in ogni caso, debbano restare“fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’art.2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” (art.137).

Il Garante, nell’ipotesi accertata di violazioni del Codice della Privacy (e del Codice Deontologico), può adottare una serie di misure che varia dal blocco al divieto totale o parziale del trattamento (art.143), che può essere preceduta dalla prescrizione, anche d’ufficio, di ogni cautela opportuna (ivi compreso il divieto o il blocco del trattamento dei dati: art.154).

L’inosservanza dei provvedimenti del Garante è sanzionata penalmente (art.170).

I diritti sanciti dal Codice della Privacy possono, naturalmente, essere fatti valere in via alternativa anche davanti all’autorità giudiziaria (art.145).

2. UN PROBLEMA NON SOLO ITALIANO

In verità, la problematica delle intercettazioni telefoniche e dell’uso fattone dalla stampa non è di carattere esclusivamente nazionale.

Nel mese di giugno del 2006 il Congresso degli Stati Uniti d’America ha approvato a maggioranza (227 voti contro 183) una risoluzione contro le fughe di notizie considerate “dannose per la sicurezza nazionale” con esplicito invito ai media ad applicare criteri di autocensura.

Obbiettivo della maggioranza trasversale creatasi in seno al Parlamento statunitense è stata, in verità, la pubblicazione di intercettazioni telefoniche non autorizzate, riguardanti centinaia di migliaia di persone, anche non residenti negli States, che il governo ha motivato con fini di lotta al terrorismo, non considerati tali da alcuni autorevoli quotidiani (quali: New York Times, Wall Street Journal e Los Angeles Time): è stata, invece, respinta una proposta del senatore repubblicano John Cornyn che prevedeva di investire del problema, con un divieto sanzionato, non i giornali ma i funzionari governativi (considerati colpevoli di trasmettere alla stampa le informazioni sulle intercettazioni).

Per tutta risposta, il New York Times ha ribadito di ritenere illegali le intercettazioni e obbligo civile dei mass media rivelarle alla Nazione, mentre il Wall Street Journal, pur ritenendo che “quando un governo manda a processo i giornalisti si finisce nella censura”, ha di fatto accolto l’invito a dare vita ad una propria forma di autocensura.

Come si vede, pur con ovvie differenze politiche e culturali, il cuore del problema è ovunque riconducibile al rapporto tra giustizia e informazione o, se si vuole, tra potere e diritti dei cittadini.

3. I PROTAGONISTI DEL NOSTRO SISTEMA: MAGISTRATI E GIORNALISTI

Se una democrazia tra le più attente alla libertà dell’informazione è divisa su un tema così delicato, per quanto ci concerne credo che occorra prendere lo spunto da recenti fatti di cronaca (che hanno visto, di volta in volta, coinvolti il mondo bancario, del calcio, della nobiltà, dello spettacolo e della politica) al fine di analizzare i comportamenti posti in essere dai veri protagonisti, anche mediatici, di tali vicende.

Il nostro Paese ha sovente riconosciuto a magistrati e giornalisti il merito e la capacità di mettere in luce interi settori inquinati della vita civile ed istituzionale: da troppo tempo, peraltro, si rinnova l’immancabile rituale delle reciproche accuse e dei vicendevoli rimbrotti, soprattutto quando l’oggetto del contendere è rappresentato dalla attuazione e dalla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche.

Ognuno imputa all’altro violazioni di norme di legge ovvero del senso della misura, invocando la corretta applicazione delle regole del diritto e della deontologia professionale.

Le ragioni della magistratura vengono, spesso, racchiuse nel seguente assioma: le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, oltre che previste e disciplinate dalla legge, sono mezzi di ricerca della prova insostituibili nell’epoca moderna, nella quale sovente chi delinque non lascia ulteriori tracce dei propri comportamenti.

Le ragioni del giornalismo sono solitamente riassumibili nel presunto obbligo deontologico di dover pubblicare tutto il materiale in qualunque modo acquisito, allo scopo di rispettare quella sorta di patto etico stipulato con i lettori, che impone il disvelamento della realtà e della verità, ancor piu’ dovuto quando sono coinvolte nei fatti persone di rilievo pubblico.

Senza la presunzione di poter stabilire in modo inequivoco da quale parte stia la ragione, non sarà inopportuno offrire alcuni dati e qualche sommaria riflessione su di essi.

4. I DATI

L’escalation che negli ultimi anni ha vissuto tale strumento di indagine è, oggettivamente, stata così impressionante da indurre alcuni osservatori a qualificarla come forma di vera e propria “bulimia intercettatoria”.

In effetti, secondo i dati forniti da Eurispes, l’incremento delle intercettazioni negli ultimi 7 anni è stato notevole: se nell’anno 2001 i telefoni intercettati erano 32.000 circa, nel 2002 sono diventati 45.000, nel 2003 quasi 78.000, nel 2004 quasi 93.000, nel 2005 oltre 107.000, con un ulteriore incremento nell’ultimo biennio sino a giungere al numero di 112.623 nell’anno 2007.

La spesa complessiva nel periodo 2001/2007 è stata di € 1.600.000.000,00 e ha raggiunto la somma di € 224.000.000,00 nel 2007, pari a poco meno del 3% del Bilancio del Ministero della Giustizia (percentuale ben diversa dal 33,3% erroneamente indicato dall’attuale Guardasigilli).

L’analisi del dato puramente economico, non secondaria anche per il suo impatto sull’opinione pubblica, dovrebbe essere estesa anche al rapporto costi/benefici della spesa sostenuta dallo Stato in questo settore di indagini, nonché alla “qualità” della spesa medesima.

A titolo puramente esemplificativo, possono essere segnalati i seguenti dati:

-i costi delle indagini variano in relazione alle tariffe praticate dalle società private che, non avendo lo Stato strutture adeguate, si occupano della materiale attività di intercettazione, in assenza di una normativa destinata a calmierare e unificare questo ricco “mercato”;

-il costo apparentemente notevole di una singola inchiesta, può essere ampiamente coperto se non addirittura superato dal denaro recuperato attraverso le successive fasi processuali (nel citato caso delle intercettazioni che hanno sconvolto il mondo bancario, la spesa di circa € 7.900.000,00 è stata “surclassata” dalle restituzioni e dai risarcimenti di coloro che hanno patteggiato la pena, giunti ad oggi ad un importo vicino ad € 350.000.000,00).

Altri numeri, suscettibili di incutere allarmismo, debbono essere più attentamente verificati.

Tenuto conto del tempo medio di ogni intercettazione (circa 45 giorni), ne deriverebbe che ogni anno vengono intercettate oltre 1.500.000 persone, vale a dire una percentuale assai elevata della popolazione del nostro Paese: in realtà, il numero degli “intercettati” è ampiamente inferiore in considerazione del fatto che i dati si riferiscono alle “utenze” e non alle persone, che ogni soggetto può disporre di più numeri sottoposti a controllo e può essere assoggettato ad indagini diverse per differenti ipotesi di reato.

5. IL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI IN GIOCO

Dalla lettura di questi dati non può, però, non sorgere il dubbio che, nonostante i rammentati limiti di legge, si ricorra sovente a questo invasivo strumento d’indagine, al solo scopo di evitare altri metodi oggettivamente piu’ difficoltosi, meno rapidi e di effetto non altrettanto evidente.

L’escamotage spesso utilizzato, allo scopo di poter disporre le intercettazioni, è la contestazione del reato di associazione a delinquere, grande ombrello idoneo a consentire indagini su reati di minore gravità, che tante volte è poi stato chiuso al termine delle indagini stesse.

Ricordo a tutti, a titolo di puro esempio, l’accorato lamento pubblico di un noto presidente di un club calcistico retrocesso per illecito sportivo, il quale, dopo l’archiviazione in sede penale dell’accusa associativa e pur con il mantenimento delle imputazioni per tutti gli altri reati minori, ebbe a dolersi di essere stato, a suo dire, indebitamente trattato come un …“delinquente” .

Pur non condividendo la facile e spesso superficiale accusa di abuso intercettatorio rivolta alla magistratura inquirente, si dovrebbe, comunque, trarre una prima conclusione: le intercettazioni telefoniche sono certamente necessarie per le indagini, ma non tutte le indagini necessitano dell’uso dello strumento delle intercettazioni.

Peraltro, se l’eventuale abuso d’indagine incide, come è ovvio, su diritti fondamentali del cittadino (in primis quello sancito dall’art.15 della Costituzione, laddove è prescritto che “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”), assai piu’ pericoloso e dannoso è l’uso distorto che sovente viene fatto, attraverso la pubblicazione sulla stampa, delle trascrizioni delle intercettazioni.

Il diritto a mantenere il segreto sulla “fonte” delle notizie (ribadito, in materia di dati personali, dal Garante della Privacy con provvedimento in data 30.3.2005) consente, per di piu’, al giornalista di non svelare eventuali abusi e violazioni di legge perpetrati dagli stessi magistrati, dalla polizia giudiziaria ovvero dai difensori degli indagati (magari allo scopo, quanto a questi ultimi, di porre un qualche ostacolo alle indagini, anche mediante il clamore suscitato dalla pubblicazione degli atti).

In verità, spesso vengono pubblicati fatti, circostanze, dettagli e nomi di persone che nulla hanno a che vedere con le indagini stesse, ma che si trovano in rapporto di mera occasionalità con l’intercettazione e che, però, solleticano maggiormente la curiosità dell’opinione pubblica.

Le vicende giudiziarie e mediatiche che hanno visto come protagonisti uno dei membri di “Casa Savoia” ed il fotografo Corona sono, al riguardo, assai eloquenti.

Negli articoli di stampa, lo spazio dedicato alle notizie dell’inchiesta vera e propria è stato minimo, se rapportato a quello, assai piu’ ampio e dettagliato, riservato a storie di sesso vero o presunto, a millanterie, a turpiloqui, a carriere di persone non indagate e via dicendo.

L’inchiesta ribattezzata “Calciopoli” ha visto, per settimane intere, tutti i quotidiani dedicare molte pagine alla pubblicazione delle intercettazioni e, addirittura, un noto editore pubblicare, al prezzo certamente remunerativo di € 5,90 cadauno, ben due volumi (rispettivamente di 426 e 243 pagine) aventi il medesimo integrale oggetto.

L’accusa di abuso del diritto di informazione, di scandalismo e voyeurismo mediatico, da piu’ parti sollevata, trova nelle predette vicende un qualche sicuro fondamento ed impone meditate ma non meno ferme riflessioni.

L’obbiettivo ineludibile è, ovviamente, quello di trovare un punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto di ogni individuo ad essere rispettato nella propria dignità, nella propria identità e nella propria intimità.

6. LE POSSIBILI SOLUZIONI

Nel conflitto tra interessi egualmente garantiti dalla Costituzione, il bilanciamento tra il diritto alla riservatezza ed il diritto di informazione non pare, però, suscettibile di soluzioni aprioristiche ovvero di una qualsivoglia minuziosa codificazione di regole preventive.

In effetti, la molteplicità e la varietà delle vicende di cronaca e dei soggetti che ne sono coinvolti non consentono di stabilire ex ante ed in modo categorico quali particolari e quali notizie possano essere raccolti e diffusi.

Spesso, anzi, la pubblicazione che appare legittima in un determinato contesto, non potrebbe esserlo in un contesto diverso.

Dunque, come evidenziato dal Garante della Privacy con un documento datato 11.6.2004, appare inevitabile che “il bilanciamento tra i diritti e le libertà di cui sopra resta in sostanza affidato in prima battuta al giornalista il quale, in base a una propria valutazione (che può essere sindacata) acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, esprimendosi nella cornice della normativa vigente -in particolare, del Codice Deontologico- e assumendosi le responsabilità del proprio operato”.

Peraltro, con specifico riferimento alla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, con una precedente decisione datata 29.10.1997 il Garante ebbe a precisare:

-che “il giornalista ha il dovere di acquisire lecitamente i documenti relativi alla trascrizione di intercettazioni effettuate nel corso di una inchiesta giudiziaria e di utilizzarli nel rispetto delle finalità perseguite”;

-che “la diffusione di intercettazioni telefoniche deve tener conto dei limiti del diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza anche quando il fatto rivesta un interesse pubblico”;

-che “la notizia ed il dato personale pubblicato senza il consenso dell’interessato deve rispettare il principio della essenzialità dell’informazione”;

-che, pertanto, l’interessato “ha diritto a che rimangano riservate quelle parti delle conversazioni intercettate che attengono a comportamenti strettamente personali non connessi alla vicenda giudiziaria o che possono riguardare la sfera della sua vita intima”.

Né dovrebbe sottacersi, quanto alle stesse persone indagate, che con deliberazione in data 8.11.2004 il Garante ebbe a stabilire che “i nomi degli indagati e degli arrestati possono essere resi noti, ma il giornalista deve valutare con cautela i giudizi sulle persone indagate nei primi passi dell’indagine e la stessa necessità di divulgare subito le generalità complete di chi si trova interessato da una indagine ancora in fase iniziale”.

Volgendo per un attimo nuovamente il pensiero alle vicende mediatiche alle quali s’è fatto cenno, quand’anche l’acquisizione dei documenti relativi alla trascrizione delle intercettazioni sia avvenuta in modo lecito, appare arduo sostenere che la loro pubblicazione abbia avuto luogo, in tutto o in parte, nel rispetto di tali principi (con particolare riguardo a persone e fatti estranei alle vicende giudiziarie, nonché al carattere intimo e riservato di alcune delle conversazioni date alla stampa).

Facile è, pertanto, sospettare che, sovente, anziché il diritto all’informazione venga privilegiato l’interesse, non altrettanto nobile e tutelato, al c.d. gossip ovvero, il che è ancor peggio, alla piu’ crudele pruderie legata alle miserie altrui, soprattutto se l’altro è un personaggio pubblico.

Non si comprenderebbe, altrimenti, la ratio in forza della quale il magistrato inquirente, per disporre l’intercettazione, debba contestare gravi ipotesi di reato, mentre il giornalista possa poi diffondere conversazioni captate nel medesimo contesto aventi ad oggetto fatti di nessuna rilevanza penale e protagoniste persone non indagate (conversazioni che, senza la grave contestazione di reato prevista dall’art.266 CPP, non sarebbero mai state intercettate).

E’ ben vero che lo stato delle attuali norme processuali, relative alla acquisizione agli atti delle sole conversazioni rilevanti nel processo penale, non può ritenersi adeguato rispetto alle esigenze della informazione, non essendo previsto un sicuro e rapido meccanismo di selezione e valutazione del vasto materiale delle intercettazioni.

Ciò non esime, peraltro, chi intende dare diffusione al testo delle trascrizioni dall’onere del rispetto dei principi stabiliti dal DLgs n.196/2003, dal Codice Deontologico dell’attività giornalistica, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, così riassumibili:

-garantire, anche in relazione ai fatti di interesse pubblico, l’essenzialità dell’informazione;

-divulgare, anche in modo dettagliato, notizie di rilevante interesse pubblico o sociale solo quando l’informazione sia indispensabile per l’originalità dei fatti o per la qualificazione dei protagonisti;

-evitare riferimenti a congiunti o ad altre persone non interessate ai fatti;

-garantire il pieno rispetto della dignità delle persone;

-tutelare la sfera sessuale dei soggetti coinvolti.

Principi, giova rammentarlo, ribaditi dallo stesso Garante con prescrizione adottata il 21.6.2006, ai sensi dell’art.154 del Codice della Privacy, proprio in relazione all’eccesso di pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche, che ha altresì evidenziato il dovere per tutti i mezzi di informazione“di procedere ad una valutazione piu’ attenta ed approfondita, autonoma e responsabile, circa l’effettiva essenzialità dei dettagli pubblicati, nella consapevolezza che l’affievolita sfera di riservatezza di persone note o che esercitano funzioni pubbliche non esime dall’imprescindibile necessità di filtrare comunque le fonti disponibili per la pubblicazione, che vanno valutate dal giornalista, anche alla luce del dovere inderogabile di salvaguardare la dignità delle persone e i diritti dei terzi”.

Quale sarà la sorte effettiva di tali prescrizioni lo dirà il futuro.

Ciò che rileva, nell’intersecarsi tra abusi di chi intercetta ed abusi di chi pubblica le intercettazioni, è segnalare l’effetto perverso che ne deriva a danno di molti soggetti, per nulla colpevoli e molto poco tutelati.

7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Il Guardasigilli On. Alfano, nel preannunziare le ragioni dell’imminente intervento legislativo di pertinenza del Governo, ha esternato quella che i padri del diritto romano avrebbero qualificato come una excusatio non petita: non sarebbe intenzione dell’Esecutivo limitare il potere d’indagine del Pubblico Ministero, né il diritto d’informare della stampa.

Spuntare le armi dei magistrati e/o le penne dei giornalisti, però, è da sempre un sogno appartenente a tanti, in epoche ed in contesti assai diversi.

Certo, in un Paese nel quale l’illegalità, soprattutto dei colletti bianchi, sembra moltiplicarsi in modo esponenziale, invocare un drastico ridimensionamento dello strumento d’indagine delle intercettazioni suonerebbe come un segnale di resa o di rassegnazione alla criminalità d’élite..

Parimenti, il diritto-dovere di informare e di essere informati potrebbe essere vanificato da astratte previsioni limitative, magari dettate dall’indignazione estemporanea di qualche potentato.

A mio modesto parere, gli strumenti esistenti (magari integrati dalla previsione di una udienza o di un’altra istanza procedurale destinata a stralciare le intercettazioni non rilevanti ai fini del processo) sarebbero più che sufficienti a garantire un corretto equilibrio tra necessità investigative, diritto di informazione e tutela della privacy.

Il rispetto, da parte dei magistrati, delle limitazioni di legge in materia di intercettazioni e l’utilizzo di tale strumento d’indagine solo in ipotesi di concreta ed effettiva necessità, ne costituirebbero il necessario presupposto .

L’effettivo adeguamento, da parte dei giornalisti, ai principi stabiliti nel Codice della Privacy e nel Codice Deontologico, ne rappresenterebbe il coronamento.

Il timore è che, nel frattempo, altri riescano ad imporre soluzioni ben più drastiche e difficilmente rimediabili.

Monza, 11 giugno 2008

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