Intercettazioni. Il silenzio dei “soliti noti”

Viene da chiedersi come mai dalle nostre parti vengono disposte, in un anno, circa 100mila intercettazioni, mentre in Gran Bretagna soltanto 5.500 e negli Usa appena mille e settecento


da Giustiziagiusta.info

Scritto da Gianluca Perricone

martedì 10 giugno 2008

Sia pur leggendo attentamente (forse anche troppo) gli spazi liberi imbrattati dai “soliti noti” (Travaglio, Di Pietro, ecc.) non sono riuscito a cogliere alcuni aspetti della questione-intercettazioni sui quali, invece, sarebbe interessante conoscere l’opinione dei nostri.
Il riferimento è, soprattutto, alla percentuale di “utilità” delle stesse ed ai costi che lo Stato è costretto a sostenere.
Antonio Di Pietro, in un’intervista rilasciata a Repubblica, fa sapere tra l’altro che «non è degno di uno stato di diritto che di fronte a un problema reale, il crimine, vengano eliminati gli strumenti a disposizione per combatterlo». A mio parere, invece, non è degno di uno stato di diritto vedersi sbertucciati sulle pagine dei giornali perché “qualcuno” (ma non si è mai saputo chi, vero dott. Di Pietro?) ha fornito al giornalista amico i contenuti delle intercettazioni. E poco importa – a Di Pietro come a Travaglio e agli altri – se chi è messo alla pubblica gogna poco o nulla aveva a che fare con le indagini per le quali quelle intercettazioni erano state ordinate. Su questo aspetto i “soliti noti” tacciono.
Sempre l’ex pm ci mette al corrente, stavolta dal suo blog, che «le intercettazioni sono strumento vitale per condurre la lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo, al contrabbando, alla droga, alla corruzione del sistema economico e per smascherare i manovratori che spesso si nascondono a livello politico»: nessuna riconsiderazione di questo strumento investigativo, nessuna riforma del sistema che lo regola. Per Di Pietro va bene così. Sarà come dice lui, ma secondo il ministero della Giustizia sono oltre il 60 per cento i proscioglimenti e le assoluzioni nei processi dove l’accusa si basa principalmente sulle intercettazioni. Insomma, come si suol dire, soldi (ed anche tanti) buttati al vento. I “soliti noti”, anche in questo caso, tacciono.
Viene da chiedersi come mai dalle nostre parti vengono disposte, in un anno, circa 100mila intercettazioni, mentre in Gran Bretagna soltanto 5.500 e negli Usa appena mille e settecento. Che forse ci sia qualcosa che non va nell’operato dei magistrati nostrani? Non è, per caso, che abbia ragione il presidente emerito della Corte Costituzionale, Giuliano Vassalli, quando dichiara che i magistrati dovrebbero ricominciare a fare le indagini perché è troppo comodo intercettare tutti? Eppure da noi i giudici sono circa 7800, 1,39 ogni 10mila abitanti, contro la media dello 0,91 degli altri paesi europei: no, i conti davvero non tornano. E i “soliti noti”? Naturalmente tacciono.
Ancora. Il dottor Di Pietro (e non solo) dimostra di dimenticare un altro aspetto devastante per la giustizia del nostro Stato e per le casse di quest’ultimo. Il dottor Vincenzo Carbone (che non è un esponente del PdL, ma il primo presidente della Cassazione) ha fatto sapere che negli ultimi cinque anni sono stati spesi 41,5 milioni di euro nel contenzioso con la Corte europea dei diritti dell’uomo riguardante le condanne inflitte all’Italia in sede europea per la troppa lentezza della macchina della giustizia del nostro Paese. Anche su questo tema il silenzio dei “soliti noti” è assordante.
Ma non è finita. A giudizio della Banca Mondiale uno dei principali freni allo sviluppo produttivo italiano è dato proprio dalla lentezza dei processi, che genera incertezza negli scambi e toglie la fiducia agli investitori (l’Italia è al 155° posto nella classifica per efficienza, su 178 paesi). Nessuna traccia del parere dei “soliti noti”.
In chiusura mi permetto di segnalare una lettera sullo strapotere dei giudici che Francesco Cossiga ha inviato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

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