Roma, 2 ottobre 2008. Il disegno di legge sulle intercettazioni restringe "eccessivamente" l’ambito della cronaca giudiziaria e prevede sanzioni "gravi e sproporzionate". A delineare questo quadro sono stati i vertici della Fieg ascoltati in Commissione Giustizia della Camera a proposito del disegno di legge sulle intercettazioni messo a punto dal Guardasigilli Alfano.
Il presidente della Fieg, Carlo Malinconico, il direttore generale Alessandro Brignone e il responsabile dell’ufficio legale Isabella Splendore hanno di fatto espresso dure critiche al provvedimento e hanno depositato agli atti un ‘parere pro veritate’ sul testo redatto dai professori Enzo Cheli e Carlo Federico Grosso.
Sia nella relazione dei vertici della Fieg, sia in questo parere ci si appella al Parlamento affinché il disegno di legge sulle intercettazioni venga modificato.
Gli editori, in particolare, puntano il dito contro la decisione del governo di prevedere il carcere per i giornalisti, di coinvolgere nella sanzione anche gli editori e di non consentire più che il reato venga estinto con l’oblazione, cioé il pagamento dell’ammenda.
Gli editori criticano in particolare "il divieto assoluto di rivelare contenuti relativi alle indagini preliminari in corso" ed esprimono anche "gravi perplessità" a proposito delle sanzioni pecuniarie minacciate alle imprese editrici in caso vengano pubblicati anche atti non segreti relativi ad inchieste penali.
Su questi punti è molto chiaro anche il parere – pro veritate – di Cheli e di Grosso: "Due profili ci sembrano assolutamente inaccettabili – si legge nel parere – a causa delle conseguenze alle quali conducono sul terreno dell’irragionevole e sproporzionato annullamento dell’esercizio della libertà di stampa e del diritto di cronaca giudiziaria: il divieto assoluto di rivelare contenuti relativi alle indagini preliminari in corso e l’invasività delle sanzioni pecuniarie minacciate alle imprese editrici in caso di pubblicazione arbitraria di atti, anche non segreti, delle inchieste penali".
"Insistere su questi punti – scrivono ancora Grosso e Cheli – ci sembrerebbe di conseguenza inutile oltre che pericoloso, alla luce delle prevedibili questioni di illegittimità costituzionale che non mancherebbero di essere sollevate".
I rappresentanti della Fieg sottolineano "con allarme" che nella sua formulazione attuale il ddl Alfano "comporta una decisa restrizione dell’ambito della cronaca giudiziaria, non giustificata né proporzionata all’obiettivo dichiarato di tutelare la riservatezza dei cittadini". Nel resto del mondo, ma soprattutto nel resto d’Europa, la tendenza va invece in un senso diametralmente opposto. La Corte europea dei Diritti dell’uomo, si ricorda nella relazione dei vertici della Fieg, ha allargato gli spazi della libertà di stampa, richiamandosi proprio all’esigenza di delineare un equo bilanciamento tra il rispetto per la vita privata e la libertà di espressione.
Dopo aver analizzato il testo, punto per punto, gli editori sottolineano come il disegno di legge, nella sua attuale formulazione, "suscita preoccupazione e perplessità: rivoluziona l’intero impianto normativo esistente, senza però intervenire a tutela della riservatezza con mezzi efficaci a impedire la fuga di notizie".
Dopo aver ricordato che la figura dell’editore è completamente diversa da quella del direttore, i rappresentanti della Fieg contestano tutta la parte del ddl nella quale vengono coinvolti anche gli editori, prevedendo sanzioni "davvero considerevoli": si arriverebbe infatti da un minimo di 25.800 euro a un massimo di 465 mila euro. "Una previsione – si legge nel documento della Fieg – che avrebbe un considerevole impatto sulle aziende editoriali".
Il ddl Alfano, spiega Carlo Malinconico nella sua audizione, contiene "un divieto di pubblicazione talmente esteso da risultare, oltre che di difficile tenuta, obiettivamente eccessivo, anche perché riferito ad atti non segreti".
Se questo testo venisse approvato dalle Camere, spiegano ancora gli editori, "ci sare bbe una decisa restrizione nell’ambito della cronaca giudiziaria", inaccettabile nell’epoca moderna. (ANSA)