E’ stato davvero interessante il convegno organizzato ieri a Milano da Millecanali sulla radio digitale. Non sono riuscito a presenziare l’intera giornata dei lavori ma nel pomeriggio ho avuto modo di ascoltare tutti gli interventi dei rappresentanti delle radio italiane e delle loro associazioni, preceduti da una breve introduzione di Claudio Re sui diversi standard di trasmissione digitale e sui problemi della transizione dalla “vecchia” alla “nuova” radio.
Su questo blog si parla molto dell’argomento ma in fin dei conti il grosso della discussione si basa su quello che dicono gli ingegneri e i tecnici. Il merito di Millecanali è sicuramente quello di aver dato voce agli editori e a chi la radio “la fa” tutti i giorni. Ci sarebbe una terza componente, messa in luce dall’ultimo intervento del convegno di ieri, quello di Guido Riva della Fondazione Ugo Bordoni: l’ascoltatore. Questa figura non è molto ben rappresentata nel dibattito tra fautori delle tecnologie digitali e i loro utilizzatori più immediati, gli addetti agli studi di produzione e ai siti trasmissivi. Ma Riva ha giustamente osservato che essendo la radio uno strumento essenziale per assicurare un ampio pluralismo informativo (la tv è bella, ma è talmente costosa da fare e da tutelare…), alla fine bisogna affrontare la questione del passaggio al digitale con un approccio più olistico e rispettoso delle esigenze di tutti.
Su questo punto ho la sensazione che l’asino caschi. Più o meno tutti, anche i più scettici, ieri andavano ripetendo il mantra dell’ineluttabilità: la radio è l’ultimo mezzo di comunicazione non digitale (insomma…) e se è ancora difficile dire quando, prima o poi sarà digitale. Non solo nella fase di produzione, dove è sempre più marcato il ruolo della digitalizzazione e il routing digitale dei contributi audio dagli studi e dalle sorgenti esterne. Ma proprio sul fronte dell’alta frequenza, della trasmissione dei segnali. Sarebbero troppo “evidenti” i “vantaggi” della digitalizzazione di quest’ultima per gli ascoltatori: qualità sonora, maggiore efficienza nell’uso delle frequenze, maggiore integrazione con gli altri mezzi già digitalizzati.
A mio modesto modo di vedere, ancora non si può dire che la validità di questo mantra sia stata confermata. Siamo sempre sicuri che trasmissione digitale equivalga sempre a maggiore qualità audio? Per niente: il DAB prima release ha un suono spesso agghiacciante, che piacerebbe molto a Dario Argento ma ha quella pulizia metallica e irreale di un suono che dopotutto è artificiale, altro che CD-like. A proposito di maggiore efficienza spettrale proprio ieri l’associazione Aeranti Corallo ha distribuito un documento in cui fatti quattro conti si ipotizza che il DAB non riuscirà mai a dare spazio a un migliaio di emittenti (sulla carta in Italia ci sono 1.100 radio private, che però equivarrebbero a circa 800 effettive). Certo, l’ascoltatore avrebbe a che fare con uno spettro meno affollatto e molto probabilmente il numero di programmi ricevibili in qualità decente aumenterebbe dal suo punto di vista. Ma la sensazione è che a tale stregua anche un buon lavoro di ripulitura e adeguamento delle frequenze analogiche potrebbe portare a ottimi risultati.
Infine, la faccenda dell’integrazione con gli altri mezzi è francamente mal posta. Gli altri media digitali sono facilmente integrabili grazie alla possibilità di inviare flussi di comunicazione multimediali? Perché sono interattivi? Sulla interattività della tv digitale sono stati sprecati miliardi in sperimentazioni che non hanno portato ad alcun risultato. Il grosso dell’interattività televisiva si riduce al televideo, che può tranquillamente essere veicolato (come l’RDS) in un flusso trasmissivo analogico. Con le sottoportanti adibite al trasporto di dati si può inviare quel tanto che basta per pilotare l’interattività e la multimedialità attraverso Internet, mezzo con cui la radio analogica si è integrata benissimo.
Ma facciamo finta che il mantra sia vero e che la radio digitale si debba fare. Nel convegno di Millecanali il messaggio delle radio locali è che se la radio digitale è necessaria, bisogna anche fare in modo di dare accessibilità a tutti gli attori cresciuti in questo mercato in trent’anni di passione e piccoli e grandi investimenti. C’è però ancora molta incertezza sul come. Per alcuni, l’impegno già sottoscritto dall’Italia per il DAB/DMB è vincolante e degno di essere portato avanti. Per altri (penso a Sergio Serafini, amministratore di Radio Popolare) una nuova proposta come IBOC o DRM – molto citati e discussi, anche nello spazio espositivo dove RVR aveva allestito una sorta HD Radio display – è preferibile rispetto al rigido schema dei multiplex del DAB (c’è però che controbatte che nel caso del DMB gli schemi non sono poi così rigidi e che più in generale lo spazio per tutti ci sarebbe).
Non manca neppure chi esprime una perplessità ancora più di fondo e chiama il mondo della radiofonia privata (e pubblica) alla difesa dell’FM analogica. Davvero una ridda di pareri la cui sintesi potrebbe essere questa:
Va bene, se radio digitale dev’essere cerchiamo di individuare il sistema più adeguato e non partiamo a spron battuto solo perché “dobbiamo” farlo. Piuttosto cerchiamo se possibile di fare più ordine nel campo analogico e di difendere con intelligenza una porzione di spettro su cui abbiamo tutti investito e che nel bene e nel male riesce a sostenere un mercato di 38 milioni di ascoltatori e oltre 600 milioni di revenues pubblicitarie. Il vantaggio del DAB/DMB o della radio satellitare sta nella maggiore salvaguardia dello spettro FM, di cui anzi si auspica un eventuale allargamento alle frequenze basse. Mario Volanti di Radio Italia, Roberto Giovannini di FRT e il rappresentante di Aeranti (che ha sostituito Marco Rossignoli e di cui ho malauguratamente dimenticato il nome) hanno accoratamente difeso il ruolo dell’analogico in FM, destinato secondo Volanti a proseguire “sul lungo termine”, senza per questo rinunciare a raccogliere la sfida del digitale. Sergio Natucci, di RNA ha prima sottolineato la vitalità della radio attuale e poi ribadito che il percorso digitale è iniziato su linee già definite in direzione del DAB/DMB, mostrandosi piuttosto scettico a riguardo delle presunte tecnologie alternative in-band. Natucci ha soprattutto sollevato una questione filosofica non da poco: l’urgenza della digitalizzazione nascerebbe dal fatto che per la prima volta dall’invenzione del transistor la radio ha perso la sua esclusività – a tutto vantaggio del telefono cellulare – di unico mass medium adatto alla mobilità. E se successivamente Volanti ha parzialmente confutato la teoria, proclamandosi scettico sulla presunta ibridizzazione dei mezzi e sul predominio del telefonino, è innegabile che oggi la radio deve fare i conti con una serie di dispositivi, MP3 player in tasca, che assorbono una parte significativa dei consumi mediatici.
Tra analogico e digitale terrestre, c’è lo spazio per una terza via? Sembrerebbe proprio di sì. Al convegno ha preso parte anche Luca Panerai di Worldspace Italia, che parlando della nuova opportunità digitale satellitare (a pagamento, ma forse con un dieci percento di contenuti free to air) ha annunciato l’avvio dei lavori per la rete dei “gap filler” per la copertura terrestre delle aree non direttamente illuminate. Uno sforzo che impegnerà per i prossimi sette mesi il partner tecnologico Telecom Italia, vincitore di una commessa da 15 milioni per 200 antenne. Secondo Panerai è possibile che subito dopo, quindi entro la fine dell’anno, venga proposta una prima fase di offerta di una cinquantina di canali dall’attuale satellite Afristar. A partire dal 2008 Worldspace Italia punta alla possibilità di ampliare il numero di canali con il previsto lancio del nuovo satellite FM3. Panerai ha precisato che un abbonamento Worldspace potrebbe costare dai 5 euro mensili in su e si è detto apertissimo ai contatti con altri editori radiofonici per gli accordi di contenuto o la realizzazione di servizi innovativi (per esempio un canale da adibire alle informazioni sul traffico autostradale).
Comunque vada a finire, il Digital Radio Day segna una tappa molto importante in un mercato che trenta anni fa ha iniziato ad assumere le sue forme attuali. La radio digitale non è ancora una realtà significativa in Italia, ma ora regolatori e addetti ai lavori sanno che il discorso è aperto e non si può rimandare. Quanto tempo passerà prima che se ne accorgano, in misura significativa, quei 38 milioni di utenti più o meno soddisfatti dell’analogico?