Il successo del modello The New York Times ha riportato in auge il dibattito sull’opportunità di far pagare l’informazione online. Di fronte ad un sempre maggior spostamento di lettori dalla carta al web, la necessità di monetizzare le news in rete diventa imprescindibile per la sopravvivenza delle testate.
Il quotidiano newyorchese ha racimolato quasi mezzo milione di abbonamenti alla propria edizione digitale, anche se nel contempo ha registrato una contrazione drammatica delle vendite cartacee, tanto che il risultato positivo di bilancio del 2010 si è ribaltato in perdite piuttosto pesanti l’anno scorso. Insomma, la fase di transizione non è finita, anche perché la strategia prevede un percorso graduale: le pagine gratuite al mese sono ora passate da 20 a 10, limitazione contemperata da meccanismi che permettono comunque più accessi dai link esterni e dai social network, onde evitare il pericolo di un calo di appeal verso gli inserzionisti pubblicitari. Una strada, questa del cosiddetto metered paywall, che sembra promettere bene ed è osservata con molto interesse nel mercato USA, dove infatti fioriscono iniziative simili modulate in maniera più o meno restrittiva. L’analisi dei risultati sul medio termine sembra suggerire che il fisiologico calo di contatti e di introiti pubblicitari causato nell’immediato dall’introduzione dei servizi a pagamento possa essere compensato in seguito dalla disponibilità di un target di lettori più selezionato e sensibile a campagne mirate di advertising. Il problema del resto è proprio quello di trovare l’equilibrio giusto tra la vetrina dei contenuti gratuiti, che deve comunque rimanere per attirare lettori e inserzionisti, e lo spazio dei materiali premium, la cui qualità e consistenza deve essere tale da giustificare l’esborso dei lettori, comunque distratti da grandi quantità di informazione free. E’ probabilmente ancora presto per capire se e come i contenuti a pagamento saranno in grado di salvare l’editoria online. L’evoluzione dei newspaper made in USA è seguita con grande attenzione anche nel nostro paese, dove finora il paywall l’ha fatta da da padrone sui canali dedicati ai dispositivi mobili, funzionando egregiamente là dove il fruitore percepisce di usufruire comunque di un servizio con un certo valore aggiunto, per il solo fatto di poter leggere il suo quotidiano preferito in ogni occasione e senza fatica. Non così sui siti tradizionali, dove i grandi quotidiani generalisti soddisfano con la loro offerta gratuita il fabbisogno informativo della gran parte degli utenti che si collegano alla rete tramite i classici terminali fissi. La chiave dovrebbe stare nella specificità e nell’approfondimento, fattori che sembrano funzionare nel mondo anglosassone ma probabilmente non saranno altrettanto decisivi nel nostro paese, dove già prima dell’avvento del web esisteva un grande gap culturale nei confronti della lettura. Non è dato sapere quanto la rete abbia contribuito a diminuire la diffidenza degli italiani verso la parola scritta, e se esista o possa esistere un mercato dell’informazione di qualità che sia in grado di sostenersi autonomamente. E forse sarebbe il caso di rivedere anche il nostro modello di giornalismo, magari anche qui guardando all’esempio del NYT, che con i suoi reportage ha recentemente conquistato l’ennesimo premio Pulitzer. (E.D. per NL)