"Il vecchio modello di informazione è morto. L’atteggiamento proprietario nei confronti delle notizie non funziona più, ora l’attenzione è per gli eventi. La richiesta è per storie verificate e per ottenerle il modello giusto è quello della collaborazione con gli utenti. Se sei dal lato sbagliato della storia alla fine lo paghi".
A parlare è Mark Little, fondatore e Ceo di Storyful, l’agenzia di informazione comprata nel dicembre 2013 dalla News Corp di Rupert Murdoch per 25 milioni di dollari. Storyful, che ha sede a Dublino, è specializzata nella ricerca dei video nella rete per conto dei colossi dell’informazione americani ed europei che ne sono clienti. Il principio di ispira a quello dei motori di ricerca (Google in primis), ma ovviamente è stato calibrato per l’utilizzo specifico. Little ne illustra il funzionamento, che sarà dettagliamente spiegato in occasione del Festival del Giornalismo di Perugia, dove il manager è attesissimo ospite: "Abbiamo un nostro database e attraverso un’analisi dei dati risaliamo alla notizia in giro per il mondo. Analizziamo, ad esempio, la velocità delle conversazioni su Twitter che è un buon indicatore del fatto che sta succedendo qualcosa in una data parte del mondo. C’è poi un alert box che indica le parole chiave che emergono da quelle conversazioni e uno screen desk che geolocalizza l’evento e così tutti i contenuti che provengono da quella zona entrano nel nostro sistema. Ora tutti gli smartphone hanno sistemi di geolocalizzazione. Queste tecnologie ci consentono di esaminare mille video in poco tempo". La diversità sostanziale coi modelli preesistenti sta nel fatto che Storyful non acquista e rivende i video, ma li individua, analizza e segnala agli interessati esattamente come un sofisticato scanner. "Tutti quelli che producono contenuti vengono premiati , non è diverso dai professionisti. Seguiamo un business etico. Tutti devono essere remunerati", evidenzia il fondatore dell’agenzia sociale che, a quattro mesi dall’acquisizione da parte di News Corp, ha definito rapporti commerciali con colossi dell’informazione quali: Abc News, e Vice News. "Siamo noti per essere l’unica azienda editoriale ad essere pagata da Google e Facebook – spiega Little -. Noi lavoriamo con tutti in maniera agnostica, non facciamo differenza tra i clienti. Ora stiamo pensando di allargarci anche alla Cina. La prospettiva è che aziende come General Electric, Visa, Mastercad finiscano con l’essere i nostri maggiori clienti. C’è la falsa percezione che i grandi brand vogliano entrare nell’editoria – fa eco all’esponente di Storyful Raju Narisetti, vicepresidente senior di News Corp -. A loro in realtà non interessa. Quello a cui sono interessati sono i racconti, sono interessati ad entrare in determinate conversazioni. Loro non sono in grado di intercettare quelle conversazioni, perché non hanno i mezzi, ed è qui che interviene Storyful". L’immensa mole di informazione viene gestita solo da 40 persone, posta l’estrema efficacia del sistema tecnologico impiegato: "L’apporto umano resta ancora fondamentale. La redazione però è aperta, il nostro modello deve essere fruibile ovunque. Vogliamo sviluppare la tecnologia che usiamo attualmente, consentire a tutti i giornalisti di usarla, consegnando un nostro sistema operativo".I contributi di Storyful spaziano dalle immagini di guerra alla politica, dalla cronaca nera a quella rosa, ma attengono anche ad immagini divertenti o situazioni comiche (alla Paperissima, per intenderci). "Ha avuto molto successo il video di un ragazzino asiatico con difficoltà di apprendimento che aveva preso 10 al compito di matematica e quando tornava il padre aveva una reazione fantastica – racconta Little -. Abbiamo dovuto contrattare per tre giorni con lui per avere i diritti di gestione del video. In un altro caso un bambino era impazzito per un cioccolatino che la madre non voleva dargli. Lo abbiamo trasmesso su una tv e l’azienda che produceva quel cioccolatino ha dato 10mila euro a quella famiglia". Ma attenzione, Storyful non vuole sostituire il giornalismo: "Noi siamo storyteller", precisa Little, che aggiunge: "Le redazioni tradizionali però non si assumono ancora la responsabilità di dare credito ai curatori delle notizie, come noi. Eppure noi non diamo mai prevalenza alla velocità, rispetto all’accuratezza, perché questo può minare la fiducia dei brand. Basta una vertenza e ci fermiamo tutti", conclude il fondatore dell’agenzia di social video. (E.G. per NL)