Meglio tardi che mai. Dopo oltre 70 anni, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità dell’art. 13 della Legge n. 47/1948. Insieme ad esso crolla sotto il macete della Consulta anche l’art. 30, comma 4 della Legge n. 223/1990, che estende l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 13 anche ai reati di diffamazione commessi a mezzo della radio e televisione.
Stop carcere per i giornalisti
Niente più carcere obbligatorio per i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa, compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la pena detentiva obbligatoria per i tali reati.
Corte Costituzionale dichiara illegittimo l’art. 13 della L. 47/48
Con sentenza del 12 luglio 2021, n. 150 la Corte Costituzionale si è pronunciata dichiarando incostituzionale l’art. 13 della L. n. 47/1948 (Legge sulla stampa). La norma, infatti, prevede che il giudice applichi obbligatoriamente la pena detentiva da 1 a 6 anni – insieme al pagamento di una multa – in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.
Contrasto con Costituzione e CEDU
La norma, secondo i giudici, viola la libertà di manifestazione del pensiero, tutelata sia dalla Costituzione (art. 21) che dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 10).
Fatti risalenti al 2019
La pronuncia, depositata il 12 luglio, ha origine dalle questioni di legittimità relative all’art. 13 della Legge sulla stampa sollevate nel 2019 dai Tribunali di Salerno e di Bari.
L’ordinanza n. 132 del 2020 con cui la Corte Costituzionale chiedeva l’intervento del legislatore
Con ordinanza n. 132 del 2020, la Corte Costituzionale aveva deciso di rinviare la trattazione delle questioni di un anno al fine di “consentire al legislatore di approvare nel frattempo una nuova disciplina in linea con i principi costituzionali e convenzionali sopra illustrati“.
L’auspicata riforma si basava sul presupposto che vi erano “vari progetti di legge in materia di revisione della disciplina della diffamazione a mezzo della stampa in corso di esame avanti alle Camere”.
La pena detentiva nei confronti dei giornalisti rischia di dissuadere i media dall’esercitare la loro cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri
Nella medesima ordinanza la Corte Costituzionale aveva osservato, tra l’altro, come fosse ormai divenuto inadeguato il bilanciamento espresso dalla normativa vigente. Tale fatto richiede, dunque, un intervento immediato da parte del legislatore “anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che al di fuori di ipotesi eccezionali, considera sproporzionata l’applicazione di pene detentive nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui. Ciò anche in funzione dell’esigenza di non dissuadere i media dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri”.
Inerzia del legislatore
Nonostante tale sollecito, il legislatore in questo lasso temporale è rimasto inerte. Pertanto, le questioni sono tornate all’esame della Corte Costituzionale. Nel comunicato dello scorso 22/06, dove si anticipava la statuizione della Corte, si legge: “la Corte, preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa”.
Corte Costituzionale: Carcere no, ma l’informazione non si trasformi da ‘cane da guardia’ in ‘pericolo per la democrazia’
Nel successivo comunicato del 12/07, dal titolo significativo “Diffamazione a mezzo stampa: no al carcere obbligatorio, ma l’informazione non si trasformi da ‘cane da guardia’ in ‘pericolo per la democrazia’” la Corte oltre a ribadire quanto già sottolineato nell’ordinanza del 2020, ha tenuto a precisare che “non è di per sé incompatibile con la Costituzione che il giudice applichi la pena del carcere a chi, ad esempio, si sia reso responsabile di campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi“.
Pena detentiva non illegittima per coloro che compiano fatti particolarmente gravi con effetti distorsivi
Nella nota che accompagna la sentenza, l’Ufficio stampa della Corte prosegue “Chi ponga in essere simili condotte – eserciti o meno la professione giornalistica – certo non svolge la funzione di ‘cane da guardia’ della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verità ‘scomode’; ma, all’opposto, crea un pericolo per la democrazia, anche per i possibili effetti distorsivi di tali condotte sulle libere competizioni elettorali“.
Illegittimo anche l’art. 30 comma 4 L. n. 223/1990 per diffamazione a mezzo radio e tv
Assieme all’art. 13, i giudici costituzionali hanno affermato anche l’illegittimità dell’art. 30, comma 4 della Legge n. 223/1990, che estende l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 13 anche ai reati di diffamazione commessi a mezzo della radio e televisione.
Reclusione solo per casi di eccezionale gravità
E’ stato ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa.
In tale caso, la reclusione dovrà essere applicata dal giudice penale solo in casi di eccezionale gravità, dal punto di vista oggettivo e soggettivo. In tutti gli altri casi, resterà invece applicabile soltanto la pena della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, oltre che i rimedi e le sanzioni civili e disciplinari.
La Corte Costituzionale sollecita intervento del legislatore
Nella pronuncia la Corte Costituzionale ha infine ribadito la necessità, già sottolineata con l’ordinanza n. 132/2020, di un complessivo intervento riformatore della disciplina vigente, allo scopo di “individuare complessive strategie sanzionatorie in grado, da un lato, di evitare ogni indebita intimidazione dell’attività giornalistica e, dall’altro, di assicurare un’adeguata tutela della reputazione individuale contro illegittime aggressioni poste in essere nell’esercizio di tale attività”. (G.S. per NL)