La battaglia intrapresa dagli editori belgi riuniti sotto l’insegna di Copiepress contro il colosso di Mountain View, ha fatto registrare una prima importante conferma.
L’aggregatore di notizie del motore di ricerca più famoso al mondo violerebbe il diritto d’autore lucrando introiti pubblicitari grazie ai contenuti informativi ai quali reindirizza i propri utenti a caccia di notizie. Con questa motivazione, che sostanzialmente si inserisce nel solco già tracciato dal processo di primo grado, si conclude l’appello introdotto da Google sulla sentenza del 2007. Nonostante il servizio procurasse ben il 30% del traffico grazie al sistema dell’indicizzazione delle notizie sul portale, apportando senza dubbio visibilità alla moltitudine dei periodici on line e malgrado la libertà di espressione ed il diritto di cronaca invocati dalla difesa del colosso della ricerca su internet, la legge belga sul diritto d’autore non lascia spazio ad interpretazioni che si discostino da una delle più rigide tutele della proprietà intellettuale che le legislazione europea conosca. L’arresto in parola, infatti, non solo bandisce il consolidato sistema di "linkare" il titolo del contributo editoriale presente in specifiche categorie d’interesse al fine di consentirne la lettura nell’ambito della pagina che effettivamente lo contiene, ma si spinge a vietare l’immagazzinamento di copie cache nel server di Google News (ovvero le versioni della pagina conservate nel database di cui alla nota funzione "copia cache" presente a margine di molte stringhe di risultati) che costituiscono un vero e proprio archivio storico delle notizie e dei contenuti pubblicati in giro per la rete. A mitigare la sentenza, poi, non è stato neanche sufficiente eccepire dal parte del gruppo statunitense la circostanza in base alla quale gli editori avrebbero la possibilità di lasciare fuori dalla loro porta virtuale gli aggregatori di notizie attraverso un codice sorgente (robots.txt) inserito nell’URL ad indicare che il motore di ricerca non può recuperare un determinato contenuto. Infatti, la legge belga non consente l’applicazione di regole che permettano, salvo esplicita indicazione di senso contrario, il prelievo di materiale tutelato dalle norme sulla proprietà intellettuale (c.d. opt out), in quanto la fruizione di tali contenuti deve svolgersi in forza di un accordo preventivo (c.d. opt in) per il recupero di documenti on line. Limitati, dunque, in questo senso i "robottini" virtuali al servizio di Google, torna alla ribalta della cronaca in tutta Europa l’oramai annosa questione delle news gratuite, o meglio, liberamente fruibili attraverso internet. La ragnatela sul mondo, infatti, parrebbe scontare, da un po’ di tempo a questa parte, le prime importanti lacerazioni per la levata di scudi verso un sistema di comunicazione libero ed aperto alla condivisione di informazioni, nei confronti del quale la globalizzazione sembrerebbe azzoppata delle sue più importanti e mumnifiche qualità. Le prime reazioni al pronunciamento della Corte d’Appello di Bruxelles, ovviamente, si dividono tra chi ritiene la decisione illuminante e ben ponderata e chi manifesta preoccupazione per la moltitudine di vincoli che i protagonisti dell’informazione (invero, spesso a ragione) stanno cercando di instaurate in Europa per quanto concernente la gratuità della conoscenza mutuabile dalla rete. Tra i primi potrebbe senza dubbio annoverarsi il tycoon dei media Rupert Murdoch, secondo il quale gli articoli di numerosi giornali di sua proprietà, come il Times, venivano pubblicati senza una preventiva autorizzazione e che si era mosso con anticipo nei confronti di Mountain View, seguito a ruota dalla soddisfazione espressa dalle lobbies della stampa europea. Secondo quanto riportato da Key4biz, la European Newspaper Publishers’ Association ha accusato gli aggregatori di notizie di falsare le cifre degli editori, mentre Francine Cunningham dell’ENPA ha sottolineato che "Un’applicazione efficace dei diritti d’autore è particolarmente importante in un momento in cui il contenuti dei giornali vengono usati sempre di più da terzi senza previa autorizzazione e senza alcun compenso per gli aventi diritto", aggiungendo che "il riconoscimento del valore dei contenuti e il rispetto dei diritti d’autore resta rilevante nell’era digitale. L’obiettivo della Ue di promuovere l’accesso internet a una quantità sempre più ampia di contenuti media e creativi non potrà essere realizzato se non mettendo al centro dell’agenda digitale il diritto d’autore e il valore dei contenuti". Di opposto avviso l’associazione dei consumatori europei (B.E.U.C.) che, in considerazione della discussione intrapresa proprio in questi giorni in ambito europeo con l’obiettivo di licenziare una disciplina comune sul diritto d’autore capace di contemperare il diritto dei cittadini a fruire liberamente di un adeguato standard informativo e quello degli editori a non vedere polverizzati i riscontri economici al loro mecenatismo, esprime forti preoccupazioni su quanto emerso dalla sentenza emessa dai giudici belgi, qualificandola "un passo indietro per la legge sul copyright" ed affermando che "Le eccezioni e le limitazioni sui diritti esclusivi dei possessori sono un meccanismo importante per l’equilibrio della legge sul diritto d’autore. Questa decisione ritarda gli obiettivi della Ue e restringe significativamente l’accesso alle informazioni online per gli utenti". (cfr. www.key4biz.it, 11/05/2011). Dal nostro punto di vista, seppur condivisibile appare la questione relativa alla tutela del copyright e in questo senso risulti auspicabile una disciplina europea che incardini la fruizione e la condivisione dei contenuti editoriali soprattutto sul web entro un preciso schema normativo, la sentenza contro Google News sembra fin troppo punitiva. In presenza di notizie accessibili gratuitamente dagli utenti della rete, francamente non si comprende la chiusura degli editori verso applicazioni che, dati alla mano, rappresentano un’importante trampolino di lancio per moltissime realtà editoriali. (S.C. per NL)