Informazione, news online: l’eterna contesa tra free e premium

Scalda i dibattiti di molti periodici specializzati e talvolta riesce persino a penetrare negli agorà televisivi l’oramai annoso dibattito sull’opportunità (per i più realisti divenuta contingente necessità) di iniziare a fare cassa sui contenuti informativi disponibili su internet.

Il dato di riferimento è sempre il solito: le vendite della carta stampata in Italia sono da troppo tempo in picchiata ed è sconcertante riscontrare che nel nostro Paese si vendono oggi meno quotidiani di quanti se ne vendessero nel 1939. Il 60% della pubblicità on line è inserita all’interno delle video news, ma il complesso della raccolta che i mezzi di informazione trasmigrati su internet riescono a procacciarsi per la rete non basta da sola a compensare il deficit pubblicitario dei canali tradizionali, mettendo non di rado a rischio la sussistenza delle redazioni. Parafrasando Totò, la crisi è una livella, colpisce tutti e miete vittime anche in compagine societarie di primo livello. Non vi è gruppo editoriale (e sul punto si potrebbe tranquillamente generalizzare anche spaziando su altri settori) che negli ultimi anni non abbia adottato draconiane manovre tese ad importanti riduzioni dei costi di gestione. Idee per il futuro? Tante, ma forse ancora piuttosto confuse ed in cerca di una direttrice che consenta non una sopravvivenza dei mass media tradizionali attraverso la piattaforma interattiva di internet, ma una vera e propria rifioritura, come conclude la presidente di Iab Italia Simona Zanetta al convegno di Fedoweb tenutosi a Milano lo scorso 26 febbraio. I dati sono lì a dimostrarlo. Alcuni dei più significativi restituiscono un utilizzo del mezzo strumentale al consumo di altri, considerando che, ad esempio, il 63% degli utenti ascolta la radio on line, il 60% vede la Tv attraverso lo schermo del PC ed il 94% legge le news attraverso il canale telematico. Certo, lo sviluppo della rete, in Italia, corre con il freno a mano tirato – complici, diciamo noi, gli imperdonabili ritardi sul fronte della banda larga – e il dato relativo alla penetrazione di internet è da noi fermo al 54%. I competitor Francia, Germania e Gran Bretagna, infatti, raggiungono quote al di sopra del 70%, distaccate dal 94% dell’Olanda che, però, non carpisce l’attenzione degli investors rispetto al mercato oltre Manica, per volume 5 volte superiore (oltre 5 miliardi di euro). Nel complesso dell’analisi compiuta nell’assise milanese della federazione degli operatori web, una prima sfida con traguardo a brevissima scadenza la lancia Federico Gasperini, presidente Aidiweb, che promette già per quest’anno l’avvio di un progetto per consentire la misurazione del mobile internet. Valutato che in Italia su circa 45 milioni di cittadini che possiedono un cellulare in quasi 20 milioni accedono alla rete attraverso smartphone e tablet, questi rilevamenti – oggi terra di nessuno – risultano consustanziali allo sviluppo dell’advertising su internet. Il primo step di questa ricerca sarà ovviamente un focus sulla diffusione di tali strumenti di comunicazione per individuarne i sistemi operativi adottati, con successivo reclutamento del campione statistico di riferimento (panel) ed installazione dei dispositivi di rilevamento (on device meter). In un tale quadro, che sembrerebbe in continua evoluzione e cambiamento, si inserisce l’intervento di Claudio Giua, direttore sviluppo e innovazione del Gruppo L’Espresso, portatore di un progetto editoriale che potrebbe prendere le mosse dai due gioielli di famiglia: Repubblica.it e Repubblica.tv. Ammettendo che l’impresa di trasferire i ricavi della carta sul web non è ancora stata compiuta e si presenta piuttosto ardua, osa un’ipotesi per lui allettante (Italia Oggi, 28/02/2013, p. 22), cioè prova ad immaginare se nel giorno delle elezioni questi due canali si fossero presentati agli utenti come parzialmente a pagamento, con la formula del così detto freemium: il prodotto è gratis e/o a pagamento per l’utente finale a seconda dell’esclusività dell’informazione distribuita, dell’affezione e del consumo. Con 10 milioni di visualizzazioni della homepage e 80 milioni di visualizzazioni totali nell’ultimo giorno di elezioni avrebbero totalizzato un ottimo risultato, poiché a convincere gli utenti a pagare per ottenere un quid pluris di informazione sarebbe stata la forza del marchio, garante di un altro standard qualitativo degli spazi premium offerti. Insomma, il futuro dell’informazione on line a pagamento dovrebbe svilupparsi – per il manager – all’interno del brand journalism. A tal proposito, però, ci pare pertinente una domanda: perché mai la svolta dovrebbe covare questa nuova formula di fruizione delle notizie se l’utente medio, che le ricerche stereotipano nel cittadino tra i 30 e 50 anni, potrebbe saziare la propria estemporanea domanda di informazione attingendo a fonti che, seppure meno qualificate, gratuitamente gli consentirebbero di soddisfare il proprio “bisogno”? E’ questo un interrogativo al quale ci piacerebbe che fosse data una risposta, anche se nel frattempo ben si comprende come l’editoria – e non solo nazionale – sia ben lontana dalla soglia di rifioritura auspicata da Simona Zanetta. Se davvero ci convinciamo che una differente connotazione delle news on line possa valere a risollevare un intero settore in crisi, siamo probabilmente fuori strada. Certamente, potrebbe essere uno stimolo, questo non può pregiudizialmente escludersi, ma forse insufficiente. (S.C. per NL)

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