Sono giorni di terrore quelli che si stanno vivendo a Teheran, dove è in atto una delle più grosse agitazioni degli ultimi anni contro un regime detestato, accettato per anni a testa bassa e mani giunte, come quello filo-islamico di Ahmadinejad. Per giudicare un regime del genere bisogna, anzitutto, mettere da parte ogni qualsivoglia pregiudizio religioso, bisogna ragionare in on’ottica né anti né filo americana, bisogna guardare alle cose con obiettività, seppur paia così difficile farlo in un mondo dove l’informazione mainstream non informa ma propaganda. In Iran vige da anni un regime radicale e autoritario, mascherato sotto presunti propositi religiosi, racchiude un fanatismo che spesso, negli ultimi anni, è stato utilizzato dal proselitismo filo occidentale per etichettare l’Iran come stato canaglia. Stato canaglia sì, ma più con i propri cittadini che con il mondo, che l’ha preso in antipatia più per gli interessi che racchiude e, a suo modo, difende, che per il reale stato in cui versa la popolazione iraniana. Questo regime violento e repressivo è figlio, direttamente o indirettamente, così come tanti altri del secolo scorso, dei tentativi americani d’estendere la prioria egemonia sui paesi non allineati (ai tempi del bipolarismo), combattendo i regimi che li governavano per imporne altri, fantocci di Washington. Era stato così per il sud est asiatico, è stato così in medio oriente ed in Iran, dove nel 1979 una rivoluzione aveva rovesciato la millenaria monarchia persiana per dar vita ad un governo allineato con gli Stati Uniti e filo-islamico, proprio quel filo islamismo che oggi Washington combatte a spada tratta. I risultati, a trent’anni di distanza sono questi, non più sconvolgenti né meno di quelli che si sono ottenuti con la stessa politica espansionistica in Indocina negli anni sessanta, settanta e ottanta. Dal 12 giugno l’Iran è straziato da una rivolta, spontanea (almeno sulla carta) ed energica contro i brogli, confermati ma non puniti, nel corso delle ultime elezioni, vinte nuovamente da Ahmadinejad. Le violente repressioni messe in atto dalla polizia governativa hanno trasformato negli ultimi giorni Teheran in un inferno di sangue, con morti e repressioni violente d’ogni genere. Come ogni repressione antidemocratica che si rispetti, anche quella iraniana è passata dal mondo dell’informazione, l’ha umiliata, zittita, presa a calci, e poi ha continuato a mietere vittime tra la popolazione come se nulla fosse, come se nessuno potesse venirlo a sapere. Il regime di Ahmadinejad dovrebbe, invece, sapere che oggi, al contrario degli ani passati, non basta oscurare televisioni e arrestare giornalisti, chiudere testate e far parlare gli organi di propaganda, per prendere per i fondelli il mondo. Oggi esiste la rete e ciò che non passa per i media mainstream passa per il web, creando onde anomale che si riversano contro chi mette in atto le censure. È il caso dell’Iran degli ultimi giorni, di un regime “sputtanato” davanti agli occhi del mondo grazie al web, grazie a YouTube, grazie allo straziante caso di Neda, la ragazza di sedici anni trucidata in diretta e spirata con gli occhi aperti davanti ad un telefonino cellulare che la riprendeva, simbolo di questi tempi in cui nemmeno la più abile delle censure messa in atto dal più abile dei tiranni possono impedire al mondo di restare con gli occhi chiusi davanti a tali massacri. Certo, poi ci si mette di mezzo la politica, gli interessi economici e quegli occhi aperti si richiudono lentamente, ma in modo dolce, non brutale, finché il tempo cancella le ferite ed i clic giornalieri su YouTube si affievoliscono fino a spegnersi. Reporter senza Frontiere parla di 33, tra giornalisti e blogger, arrestati dall’inizio delle proteste in Iran. Il corrispondente della Bbc è stato rimandato a casa dalle autorità iraniane, l’emittente satellitare Al Arabiya è stata chiusa a colpi di censura dal governo di Teheran. “La sede dovrà restare chiusa fino a nuove disposizioni”, fanno sapere dall’emittente, sottolineando come non vi siano ragione ben precise per le quali la decisione è stata presa dalle autorità. L’unica ragione è quella di zittire una possibile voce non dissidente ma, piuttosto, informante. L’informazione, ad ogni modo, continua a viaggiare sul web, e su questo il governo non ha armi a sufficienza per censurare. Certo, può arrestare blogger e chiudere siti, ma non sarà mai abbastanza. Basterà sempre un telefono cellulare ed un temerario che invia un video a YouTube per scatenare un putiferio come quello seguito dalle centinaia di migliaia di clic sul video della morte in diretta della povera Neda. (Giuseppe Colucci per NL)