Con sentenza n. 17723 del 29/08/2011 la Corte di Cassazione ha riconosciuto quale attività giornalistica lo svolgimento delle mansioni corrispondenti a quelle del redattore da parte di una lavoratrice non iscritta all’Albo dei Giornalisti.
La Suprema Corte ha conseguentemente considerato congruo, in relazione alle attività effettivamente svolte, il trattamento economico previsto per le equivalenti prestazioni del giornalista professionista. Così decidendo, il giudice adito ha confermato le decisioni della Corte di Appello di Napoli e del Tribunale partenopeo, respingendo il ricorso dell’impresa radiofonica presso cui la lavoratrice aveva svolto le sue funzioni. La Corte di Cassazione ha ribadito che “per attività giornalistica (presupposta, ma non definita dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista) deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e all’elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione: il giornalista si pone come pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione, nel senso che la sua funzione è quella di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in funzione della cerchia dei destinatari dell’informazione e confezionare quindi il messaggio con apporto soggettivo e inventivo”. Inoltre – ha precisato la Suprema Corte – per connotare l’attività come giornalistica “(…) assumono (…) rilievo la continuità o la periodicità del servizio, del programma o della testata, nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonchè l’inserimento continuativo nell’organizzazione dell’impresa”. Sulla base di tali principi – ha spiegato il giudice supremo – la Corte di Appello aveva individuato nell’attività svolta dalla lavoratrice tutti i tratti caratteristici dell’attività giornalistica, consistenti, nello specifico, “nella raccolta, da parte della lavoratrice, delle notizie pubblicate dai notiziari Ansa o dal Televideo, nella scelta di quelle ritenute a suo giudizio più importanti, nella possibilità di apportarvi alcune modifiche e nella lettura che del testo così confezionato veniva data nel corso della trasmissione radiofonica”. Alla lavoratrice, dunque, secondo il ragionamento della Corte, va riconosciuta una retribuzione per la cui determinazione occorre assumere come parametro il trattamento previsto per i giornalisti redattori. Nel merito la sentenza chiarisce che “in caso di svolgimento di lavoro giornalistico da parte di soggetto non iscritto al relativo albo professionale, il contratto di lavoro deve ritenersi nullo per violazione di norme imperative, senza tuttavia che si verta in ipotesi di nullità del suo oggetto o della causa, con la conseguenza che, in forza dell’art. 2126 c.c., il lavoratore avrà diritto al trattamento economico per l’attività espletata, con l’applicazione della disciplina collettiva nella sua interezza, e cioè del trattamento sia economico che normativo previsto per le corrispondenti prestazioni del giornalista professionista”. (D.A. per NL)