Annunci e conferenze stampa sul caso Yara e l’arresto di Bossetti sono "una spettacolarizzazione della giustizia a cui ormai siamo abituati.
Noi avvocati siamo contrari a queste forme di informazione unilaterale degli investigatori o delle Procure. A decine di conferenze stampa trionfalistiche è seguita nel tempo l’assoluzione degli imputati, da Scaglia a Tortora e a Serena Grandi". Lo afferma al Messaggero Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle Camere Penali. "La ricerca scientifica – aggiunge – dimostra che ciò che riteniamo sicuro, qualche anno dopo viene revocato in dubbio. Quindi andrei cauto nell’idolatrare la prova del Dna. Il 99,9 per cento su un milione fa tre. In una città di un milione di persone sarebbero tre a poter essere accusati dello stesso delitto. Servono altre prove. Una che tiene banco sempre di più ma è imprecisa, è quella dei telefonini. Se la cella della vittima è la stessa della casa del sospettato, non provi nulla". "Un alibi falso è una prova – sottolinea – Ma io non ricorderei dove stavo cinque anni fa. Se non ho la prova della mia innocenza, non per questo devo essere condannato. È l’accusa a dover provare che sono colpevole". La possibilità di giudizio immediato per Spigarelli è un "altro paradosso": "L’accusa indaga per anni, pensa d’avere la prova, ti mette in galera, fa il giudizio immediato. Ma che giudizio immediato è dopo tre anni? È solo un modo per privare l’imputato dell’udienza preliminare, cioè di un pò di garanzie. Mi chiedo: quando si è cominciato a indagare su questa persona senza iscriverla nel registro degli indagati?". (ANSA)