Una serie di recentissime sentenze della Suprema Corte di Cassazione fissa paletti, d’ora innanzi difficilmente valicabili, relativamente alla riqualificazione delle cessioni totalitarie delle quote di una società come cessione d’azienda. Precedenti il cui contenuto potrà interessare anche i soggetti concessionari radiofonici, i fornitori di contenuti radio e tv ed in generale la filiera dell’industria mediatica, spesso oggetto di accertamenti da parte del Fisco.
Sintesi
I giudici della Corte di Cassazione hanno (si spera) definitivamente dichiarato infondata una pretesa dell’Agenzia delle Entrate, che, per molti anni, aveva sanzionato le operazioni di cessione della totalità delle quote di partecipazione al capitale sociale.
La riqualificazione
Il presupposto di tali azioni – assai numerose in ogni settore imprenditoriale – era la cosiddetta riqualificazione delle cessioni totalitarie delle quote come cessione d’azienda.
Fattispecie non assimilabili
“Peraltro, già in partenza era evidente come le due fattispecie non fossero assimilabili anche sulla base dei principi generali del Codice Civile”, spiega l’avv. Gianluca Barneschi, che ha partecipato al contenzioso.
Le differenze…
“Infatti con la cessione delle quote sociali, i soci si spogliano completamente di qualunque relazione con la società le cui quote sono cedute, perdendo ogni connessione con la stessa e con la loro precedente posizione di soci.
… sostanziali
Viceversa, con la cessione di azienda, i soci mantengono il loro status di partecipanti alla compagine sociale, rimanendo partecipi della società stessa, che rimane nella loro disponibilità, potendo essere anche titolare di altre aziende o rami d’azienda“, spiega a NL l’avvocato.
Situazioni diverse sia sul piano giuridico che operativo
“Le situazioni sono quindi diverse non solo a livello giuridico, ma anche a livello operativo – evidenzia Barneschi -.
Ma ciò era sfuggito all’Agenzia delle Entrate e ai giudici dei due precedenti gradi di giudizio.
Il vaglio della Cassazione…
In sede di giudizio di Cassazione, nonostante interventi della Corte Costituzionale, le chiarificazioni normative del legislatore e il formarsi di giurisprudenza favorevole in seno alla stessa Suprema Corte, l’Agenzia della Entrate non defletteva dalla propria posizione, ritenendo di poter addirittura riqualificare gli atti in questione, facendo ricorso a contenuti diversi da quelli propri delle clausole contrattuali, estranei agli elementi desumibili dall’atto presentato alla registrazione.
… risolutore
E così la Cassazione è stata costretta a ribadire che l’amministrazione finanziaria, da un lato “non sia affatto tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella “forma apparente”, ma che tale attività qualificatoria, tuttavia, non possa “travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, mediante l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta dai contraenti.
Effetti giuridici differenti
E per di più comportante effetti giuridici differenti, soltanto in ragione, per quanto è dato leggere nel controricorso dell’Agenzia delle Entrate, “del risultato concreto perseguito dalle parti» o di una opinabile equivalenza economico-sostanziale tra la cessione totalitaria di quote societarie e la cessione di azienda.
L’esame del giudice di merito
Il giudice di merito, cui spetta vagliare la corretta interpretazione dei negozi giuridici, avrebbe dovuto analizzare le ragioni dell’accertamento dell’Ufficio, relativamente alla operata qualificazione dell’atto tassato, escludendo ovvero affermando la decisività di talune pattuizioni, laddove ritenute in grado di snaturare l’essenza del tipo contrattuale adottato dalle parti”, enfatizza l’avv. Barneschi.
Effetto economico
“Come, del resto, ribadito anche dalla Consulta, non si deve ricercare un presunto effetto economico dell’atto, tanto più se e quando, come nel caso di specie, lo stesso è il medesimo che il negozio tipico prescelto, atteso che l’Ufficio non indica nell’avviso impugnato quali sarebbero gli elementi del regolamento negoziale adottato dalle parti che ne avrebbero immutato la sostanza, facendone scaturire effetti giuridici diversi, equivalenti a quelli del trasferimento d’azienda (v. artt. 2556 e ss.gg. cod. civ.).
La qualificazione più onerosa per l’impresa
E, quindi, suscettibili di una differente e più onerosa imposizione tributaria”.
La definizione della controversia
Evidenziando anche ulteriori profili, la Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi, condannando l’amministrazione anche finanziaria alla refusione delle spese di lite in favore dei ricorrenti, liquidate in somme assai cospicue“, conclude Barneschi. (M.L. per NL)