Una sentenza del Tar campano ha accolto il ricorso presentato dalla Vodafone contro un provvedimento del Comune di Mondragone (CE), con il quale lo stesso comune diffidava la Vodafone dall’iniziare i lavori per la realizzazione di una stazione radio base. Alla base del provvedimento del comune c’è una delibera dello stesso, la n. 88 del 19 dicembre 2001, con la quale è stato approvato il “Piano di delocalizzazione ed il Regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia cellulare” che preclude l’installazione degli impianti di cui trattasi all’interno delle aree sensibili, individuate dallo stesso regolamento nelle “aree che circondano, in un raggio di metri 250, quelle in cui sono situati asili, scuole di ogni ordine grado,, ospedali, case di cura e di riposo, carceri e qualunque altra sede di convivenza”. Il ricorso della Vodafone, prende le sue mosse sulla base della violazione di pronunce giurisdizionali che si sono già occupate della norma regolamentare posta a presupposto del diniego e, in ogni caso, dalla incompatibilità del regolamento del 2001 con la normativa statale sopravvenuta secondo cui gli impianti di telefonia mobile sono opere di urbanizzazione primaria, e come tali possono essere realizzati su tutto il territorio comunale. La sentenza presenta diversi profili di interesse, in quanto attraversa tutta la normativa e la giurisprudenza degli ultimi anni in materia di localizzazione degli impianti radioelettrici. .- La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando il contrario orientamento della prevalente giurisprudenza di merito, già prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 198/2002 (legge Gasparri) e del d. lgs. 259/2003 (Codice delle Comunicazioni), aveva sostenuto la tesi della sostanziale indifferenza urbanistica delle stazioni radio base per telefonia cellulare le quali, dunque, possono essere collocate in qualsiasi zona del territorio comunale, in quanto trattasi di impianti di interesse generale, ma soltanto laddove faceva difetto un’esplicita e specifica disciplina locale sugli impianti di telefonia contenuta negli strumenti urbanistici comunali e/o in regolamenti ad hoc. In un altro caso in cui un comune aveva diffidato un gestore di telefonia mobile a rimuovere una stazione radio base aveva affermato: “deve ritenersi che in capo al Comune residui comunque un generale potere di governo e disciplina del proprio territorio; con la conseguente possibilità di individuare, nell’esercizio delle competenze urbanistiche, la zona dove installare impianti di telefonia cellulare, di qualsiasi tipo essi siano”. Tuttavia, “le caratteristiche peculiari delle stazioni radio base devono essere oggetto di una valutazione separata e distinta, che il comune può ben compiere con riguardo allo specifico fenomeno delle infrastrutture telefoniche, non potendosi applicare in via analogica una normativa edilizia concepita per altri scopi e diretta a regolamentare altre forme di utilizzazione del territorio”. La potestà regolamentare dei comuni veniva però frustrata dall’entrata in vigore della Legge Gasparri, che definiva, all’art. 3 comma 2, le infrastrutture strategiche di telecomunicazione come “compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”. Ma con la sentenza n. 303 dell’ottobre 2003, in accoglimento ai ricorsi proposti da Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia – Romagna, Umbria e Lombardia, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del d.lgs. 198/2002 per violazione dell’art. 76 della Carta fondamentale: secondo il Giudice costituzionale, con il d. lgs. 198/2003 il Governo aveva fatto un uso del potere normativo esorbitante dai criteri direttivi che gli erano stati conferiti con la legge di delegazione delle Camere. Nel frattempo, il 16 settembre 2003, è entrato in vigore il d. lgs. 1 agosto 2003, n. 259 recante approvazione del “Codice delle comunicazioni elettroniche” in conseguenza del recepimento di alcune direttive comunitarie in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica. Il Codice, se da un lato contiene una riedizione di alcune disposizioni del Legge Gasparri in materia di procedure autorizzatorie delle infrastrutture per gli impianti radioelettrici, dall’altro non prevede la compatibilità urbanistica ex lege di questi impianti, la loro realizzabilità in qualsiasi parte del territorio comunale e la derogabilità degli strumenti urbanistici e delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti: si dovrebbe quindi ritenere che, con l’entrata in vigore del decreto 259/2003 la localizzazione delle infrastrutture per telecomunicazioni debba essere necessariamente conforme sia alla legislazione nazionale e regionale sia alla disciplina locale approvata dai Comuni, in materia di inquinamento elettromagnetico, di urbanistica, edilizia, ambientale. Ma la novità più importante del Codice delle Comunicazioni è quella prevista dall’art. 86 comma 3, che assimila le infrastrutture di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, essendo opere di interesse generale che presuppongono la realizzazione di una rete che consenta un’uniforme copertura al territorio, con la precisazione che “ad esse si applica la normativa vigente in materia ”. In pratica, considerando che nel Codice non compare alcuna norma che dichiari la realizzabilità delle infrastrutture esclusivamente sulla base delle procedure definite dal decreto medesimo, si evince che l’installazione degli impianti necessita della previa acquisizione del permesso di costruire accanto all’autorizzazione o alla DIA previste dall’art. 87 del Codice con finalità esclusivamente ambientali ed igienico sanitarie. Inoltre, emerge chiara l’obbligatorietà del titolo edilizio ove si consideri che, nella definizione degli interventi di nuova costruzione soggetti a permesso di costruire, il T.U. dell’edilizia ricomprende espressamente “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-trasmittenti e di ripetitori per servizi di telecomunicazione” . Dunque, il riaffermare la necessità del permesso di costruire il cui scopo è quello di verificare la conformità dell’intervento alla strumentazione urbanistica ed edilizia locale, sembra dunque costituire una conferma della recuperata importanza della pianificazione territoriale comunale nella materia in esame. Per i giudici di Palazzo Spada, l’avvenuto inserimento, ad opera del Codice delle comunicazioni elettroniche, delle infrastrutture di telecomunicazione tra le opere di urbanizzazione primaria comporta una semplice presunzione di conformità delle stazioni radio base con ogni destinazione di zona del piano regolatore comunale, ma non necessariamente una compatibilità urbanistica: se l’amministrazione comunale risulta priva di norme specificamente dedicate agli impianti di telefonia, la localizzazione di queste ultimi non può essere inibita o limitata ma se il Comune ha introdotto un’apposita disciplina questa non può essere derogata. (TL per NL)