C’è chi dice che il tramonto di Rupert Murdoch, lo squalo, il più grande, ricco e potente tycoon dell’informazione mai esistito sulla faccia della terra, sia cominciato.
Sarà perché ormai ha ottant’anni e nonostante non abbia perso la voglia di combattere, le battaglie per la successione sono già iniziate; sarà perché – come le proteste anti-capitaliste degli ultimi mesi dimostrano – la crisi ha portato a un inasprimento delle proteste da parte di quel 99% della popolazione americana e non solo che vede nel mondo dell’alta finanza e delle corporation l’imperatore il cui pollice verso significa mancanza di lavoro, di futuro, di sogni. Sarà, ancora, perché lo scandalo di quest’estate, la chiusura di News of the World, il giorno della vergogna, con Murdoch messo alla berlina davanti a una commissione d’inchiesta del Parlamento inglese, ha scritto una pagina importante e inflitto un colpo terribile alla credibilità e all’immagine d News Corp. nel mondo, tant’è che lo stesso magnate lo aveva definito “il momento più umiliante della mia vita”. Sarà, infine, perché l’annuncio degli oltre duecento licenziamenti tra Times e Sunday Times è un segnale d’allarme per i conti della corporation. Tre giorni fa, a Los Angeles, si è tenuta l’annuale assemblea di News Corp. per l’approvazione dei conti e il rinnovo del CdA, la prima dopo il terremoto estivo. Come ogni anno, un folto gruppo di azionisti incazzati ha mosso critiche feroci alla gestione della famiglia Murdoch anche se quest’anno il tono della protesta è stato decisamente più acceso. Il caso di News of the World, infatti, ha lasciato una cicatrice indelebile sulla famiglia Murdoch. Non che l’australiano sia mai stato un simbolo di moralità, ma gli avvenimenti di quest’estate hanno aperto il viatico per il passaggio di consegne. I Murdoch, comunque, non mollano e, nonostante le tensioni, il loro 40% di azioni continua ad avere un peso decisivo e sia Rupert che il figlio James sono stati riconfermati alla guida della corporation. Questo nonostante le proteste, dentro e fuori gli studi della Fox dove l’assemblea si è tenuta. Fuori un gruppo di aderenti alla protesta di Occupy Wall Street (già a Manhattan nei giorni scorsi la casa del tycoon era stata presa d’assalto dai protestatori pacifici che lo invitavano a condividere le sue fortune in modo più equo) manifestava, maschere di Murdoch addosso, mentre dentro il deputato laburista britannico Tom Watson – già inviperito lo scorso anno per l’aperto appoggio che i giornali di News International avevano offerto alla campagna elettorale di James Cameron: ma come poteva essere altrimenti vista la storia dei media targati Murdoch! – tuonava: “Io penso che Murdoch stia arrivando al suo ‘momento Rosebud’ (il momento in cui il suo illustre predecessore Charles Foster Kane, personaggio del film di Orson Wells ‘Quarto Potere’, moriva, ndr). Non potete continuare a gestire un’azienda da 44 miliardi di dollari come una famiglia disfunzionale”. E invece, per il momento, i Murdoch continueranno a guidarlo, questo colosso. Nonostante il clima attorno a loro sia ostile. Ma, forti del controllo sul 40% delle azioni, dall’interno del gruppo non dovrebbero arrivare grosse sorprese (si era proposto di nominare un presidente del CdA indipendente ma difficilmente Murdoch accetterà mai questa soluzione). Le sorprese potrebbero arrivare, invece, dall’esterno, da quel movimento che a macchia d’olio sta espandendosi lungo tutti gli Stati Uniti e oltre e che vede nei tipi come Murdoch i nemici giurati della popolazione mondiale. (G.M. per NL)