Le scelte dell’attuale governo, ormai è chiaro, mirano a colpire (più o meno intensamente) le rendite di posizione, grosso modo in tutti i settori (per ora è stranamente esclusa solo l’energia…). Dopo le professioni intellettuali, toccherà, come noto, al sistema radiotelevisivo, come ha anticipato il ministro alle Comunicazioni Gentiloni, che ha preannunciato la riforma della Gasparri (L. 112/04). Cosa potrebbe o dovrebbe accadere, quindi?
Un attacco diretto a Mediaset pare da escludere, considerate le ripercussioni socio-economico-politiche che determinerebbe. Più probabile quindi un livellamento dal basso, mirato a favorire la crescita di competitors, meglio se potenti.
In questa ottica, potrebbe essere favorito l’ingresso di gruppi multimediali (italiani o esteri) nelle medio-grandi emittenti radiotelevisive locali o nelle nazionali minori. Anzi, come abbiamo più volte scritto su questa pagine, è altamente probabile che saltino i limiti di diffusione attualmente vigenti (soprattutto per le radio), favorendo così una deregulation che stimolerà la competizione, stroncando anche in questo campo le rendite di posizione.
Se questo è il possibile futuro, è facile immaginare che di qui a breve i gruppi interessati ad investire in questa direzione inizieranno (rendendolo più semplice una riforma legislativa in tal senso) ad investire in strutture editoriali organizzate. Il trading delle frequenze (fenomeno quasi esclusivamente italiano)potrebbe lasciare indi spazio al commercio delle partecipazioni nelle società editrici (tendenza in espansione in tutto il mondo).
Si guarderà, quindi, con interesse crescente ad emittenti radiotelevisive adatte allo scopo, anche se non necessariamente in testa alle classifiche di ascolto o produttrici di grandi utili (anzi, forse è addirittura meglio che non lo siano, dal punto di vista delle negoziazioni…). Soggetti duttili dal punto di vista tecnico-societario, che potrebbero essere agevolmente partecipati e sviluppati secondo un preciso piano.
Ma attenzione, il business non sarà solo quello classico della pubblicità, ma anche (ed a nostro avviso, soprattutto) quello, più sottile, dell’informazione (in cui i grandi gruppi non possono ormai più permettersi di mancare).
Nel mirino finiranno quanto prima le superstation (radio e tv), le maxi radio e le tv locali dotate di dignità diffusiva, che cominceranno ad essere corteggiate da soggetti magari non chiaramente o immediatamente identificabili (fondi di investimento, merchant bank, ecc.) che si proporranno direttamente o indirettamente per la partecipazione al capitale.
Gli editori disponibili scopriranno, poi, che ad essere analizzati dagli advisors nominati all’uopo dagli investitori non saranno tanto i flussi economici derivanti dagli introiti pubblicitari, quanto gli assetti patrimoniali (struttura impiantistica) e la regolarità fiscale-amministrativa; atti che non faticheranno a qualificare come prodromici all’ingresso nella compagine di soggetti interessati al controllo editoriale nel medio-lungo termine. (NL)