“Da un anno o forse più stiamo cercando di fare un giornale post An e in qualche modo anche post destra, interpretando la svolta di Gianfranco Fini. Abbiamo provato ad assumere il ruolo di avanguardia culturale nel processo di formazione del PdL, un’avanguardia di provocazione che faccia intravedere il futuro. Lo abbiamo fatto recentemente cercando di interpretare la categoria della laicità positiva, aprendo a collaboratori anche eterogenei”. Queste le parole con cui Flavia Perina, dal 2000 direttore del “Secolo d’Italia” e dal 2006 solo direttore politico, dopo il suo ingresso in Parlamento come deputato del Popolo delle Libertà (la carica ci direttore responsabile è, ora, ricoperta da Luciano Lanna), parla della svolta verso l’indipendenza intellettuale, l’apertura a più ampie vedute e lo scostamento dai dettami di partito, che il “Secolo d’Italia” ha scelto d’intraprendere. In realtà, questa novità, per certi versi epocale, è una sorta di ritorno al passato, ad una concezione di giornale di destra, ma non apertamente di partito, che oggi, nei fatti, non esiste. Perché se, infatti, il panorama dei quotidiani di destra in Italia è molto ampio e la gran parte di essi non rientra nel concetto classico del quotidiano di partito, la realtà è che di voci realmente indipendenti (perlomeno da un punto di vista editoriale), seppur politicamente schierate, non ce ne sono in giro. Il “Secolo d’Italia”, in effetti, venne fondato nel 1952, prima delle elezioni del 1953, per dare una voce ai partiti di destra, ed in particolar modo al Movimento Sociale, che la stampa e l’informazione in generale, osteggiavano per ovvi motivi. Solo in un secondo momento, oltre dieci anni dopo (1963), il quotidiano divenne ufficialmente organo di partito, acquisito da Arturo Michelini, allora segretario del MSI. Dopo la svolta di An e la seguente confluenza, quindici anni dopo, al Popolo delle Libertà, la linea editoriale e la stessa esistenza del giornale, hanno dovuto reinventarsi, dati anche i modesti risultati delle vendite degli ultimi anni. La linea scelta è stata quella, coraggiosa, di uno scostamento dalle linee guida di partito (non più chiare dopo il minestrone creato da An e Forza Italia), seguendo un po’ la politica intrapresa da Gianfranco Fini da quando si è insediato alla presidenza della Camera. “Penso che l’intervento di Fini al congresso finale di An – sostiene ancora il direttore politico, Flavia Perina – sia stato uno shock in positivo per la politica abituata alla piccola pesca delle occasioni, che vuole in galera i rumeni, che vuole le ronde… Uno shock a sinistra come a destra. Quell’intervento ha riacceso i motori. Noi vogliamo starci. Questo è un grande gioco che ci piace e pensiamo di saperlo giocare meglio di altri”. Insomma, una destra rinnovata ed innovatrice, non xenofoba e neanche post-fascista, una destra che si immedesimi più nel Partito Popolare Europeo che non nel Popolo delle Libertà, una destra conservatrice, sì, ma non bigotta ed ipocrita come talvolta riesce ad essere su determinati temi. “Il nostro progetto è cercare di essere un passo avanti nel dibattito politico, per segnalare le nuove frontiere”. E’ un segno, forse minimo ed impercettibile, di una destra che guarda già al post-berlusconismo. (G.M. per NL)