Prendendo le mosse dall’editoriale di Mauro Roffi pubblicato sul numero di settembre da Millecanali, abbiamo auspicato con il nostro articolo del 09/09/2006 ”L’estinzione delle radio locali (italiane)” (integrale in calce), l’apertura di un proficuo dibattito sul rischio di estinzione delle radio locali.
Tale invito è stato raccolto dall’associazione di emittenti locali Conna, che sul proprio sito, con l’enfasi (mai frenata) di chi ha sempre vissuto con passione la propria missione, ha preso la palla pubblicando un pezzo, a tratti anche piuttosto duro, di cui riprendiamo ampie sezioni.
“(…) Come considerare se non intrise di malafede le dichiarazioni “amorose” (e pelose) nei confronti delle radio locali di politici che erano al corrente del massacro che si stava compiendo privando gli oltre 8000 comuni italiani di un patrimonio che aveva grandi potenzialità? E come giudicare gli sconclusionati e tardivi articoli di certi giornalisti che anche sullo stretto piano professionale invece di una poltrona dorata avrebbero ben meritato il rude sedile di un trattore agricolo?
Due categorie che meritano sia pur per ragioni diverse si stenda un velo pietoso su di esse.
Desta sorpresa invece chi non è né sprovveduto né in malafede come l’articolista di NL secondo il quale le ragioni principali della scomparsa delle locali sarebbero dovute: 1) vecchiaia, 2) inedia, 3) mancato ricambio generazionale, 4) disinteresse commerciale, 5) miopia editoriale, 6) soldi.
Sono considerazioni che non esitiamo a definire non poco superficiali perché prescindono da fatti fondamentali.
Intanto se vogliamo impostare una analisi che abbia un minimo di attendibilità non possiamo nascondere gli originari grandi giochi di potere, dalla P2 che tuttora fa sentire gli echi della sua presenza, all’operato del CAF – in particolare di Bettino Craxi – e dalla miopia delle forze di governo dell’epoca che sottovalutarono i pericoli delle concentrazioni mediatiche destinate ad estendersi sul cattivo esempio italiano all’intero mondo occidentale.
Come dimenticare poi il rilascio delle concessioni senza valore, date in mancanza dei Piani di assegnazione delle frequenze in palese violazione dell’articolo 34 della legge Mammì e la mancata applicazione degli articoli 3 e 4 che avrebbero con la sistemazione delle attrezzature tecniche in appositi centri integrati di trasmissione dato un minimo di certezze agli operatori del settore? Dove erano tutti coloro che oggi sparano ovvietà a ruota libera? Di fronte a queste clamorose illegalità i mezzi di informazione, giornali, televisioni e radio e, fatto gravissimo, la stampa specializzata, hanno sempre taciuto lasciandoci soli con il nostro Nuove Antenne a denunciare quanto stava accadendo: essi, con questo comportamento antisociale hanno perso il diritto di parlare ed esprimere giudizi che non siano di condanna del proprio operato.
Al di là di queste considerazioni, anche volendo esaminare le 6 cause del tracollo delle radio locali enunciate in buona fede da NL ci si accorge che esse sono consequenziali fra di loro.
La perenne incertezza, le frequenze interferite, le regole burocratiche vessatorie, il mancato intervento dei comuni e delle province e degli inutili Corerat e Corecom che per primi avrebbero dovuto salvaguardare e sostenere i mezzi di informazione locali visti e parlati, come potevano portare ad un ricambio generazionale incoraggiando i genitori fondatori dell’impresa a indirizzare i propri figli a dar seguito all’attività radio o televisiva? Anche la cura della programmazione e l’inventiva passava in secondo piano, cancellata dagli oneri burocratici e dalle mille trovate ministeriali per rendere loro la vita sempre più difficile.
E come dimenticare l’azione nefasta di finte associazioni di categoria (fortemente protette e pubblicizzate dalla suddetta stampa specializzata) che invece di curare gli interessi delle emittenti guardavano ai loro?
Basta pensare che i titolari di queste vere e proprie imprese commerciali gestite in genere da avvocati, gioivano ad ogni legge contorta e scandalosa (sollecitata magari da loro medesimi) che veniva emanata dal famigerato ministero delle poste e telecomunicazioni (…) perché ciò si sarebbe tradotto in un contenzioso giudiziario altamente redditizio.
Esse esistono per l’immaturità di una categoria di operatori scarsamente impegnata in direzione di una lotta comune, incapaci addirittura di accorgersi di chi li sfrutta per i propri fini.
Fra tante macerie sembrerebbe di trovarci di fronte ad una situazione chiusa popolata da una serie di soggetti residuali e invece nonostante tutto non è così.
La speranza viene dalle radio e dalle televisioni rimaste e dalla ostinazione dei loro titolari che intendono difendersi resistendo alle offerte di acquisto dei potentati dell’etere perché in loro, nonostante anni di amarezze, prevale la passione di svolgere una attività di contatto con gli altri e la speranza di veder finalmente riconosciuto il loro costante impegno da leggi degne di essere così definite.
A loro si aggiunge un fatto relativamente recente: la rinascita di una forte domanda di entrare nel settore da parte di nuovi soggetti, associazioni e singoli che l’attuale governo in carica si è impegnato a soddisfare.
Forse si è alla vigilia di una nuova rivoluzione radiotelevisiva perché la necessità di “locale” da parte dei cittadini non può essere ulteriormente compressa; una prima linea di piccole emittenti impostata su antiche e nuove tecnologie su base non interferenziale” – teniamo a precisarlo per evitare equivoci – che dovrebbe essere guardata con favore dalle “sorelle maggiori” sopravvissute qualora non si verifichino gravi incompatibilità considerate caso per caso: l’odio e la rivalità esasperata per il “vicino” considerato un ostacolo al proprio sviluppo abbiamo visto fino ad oggi cosa ha prodotto”.
www.newslinet.it/shownews.php?nid=238
09/09/2006 14:38:49 – L’estinzione delle radio locali (italiane)
Millecanali lancia l’allarme
L’editoriale del numero di settembre (n. 359) della storica rivista Millecanali (alla quale questo periodico è sempre stato vicino, se non altro per il fatto che molti redattori ne sono spesso articolisti) lancia “L’allarme radio locali”.
L’amico Mauro Roffi, si chiede, preoccupato, come mai nessuno (soprattutto sul piano politico) sia turbato dall’epidemia in corso, che sta decimando la specie e che – aggiungiamo noi – ha tratti similari (seppur su piani diversi) con il contagio che sta assalendo la carta stampata, aggredita dall’agente patogeno dell’informazione telematica.
Giusta domanda ed interessante dibattito, quello aperto da Roffi, al quale vogliamo contribuire.
Del funesto fenomeno abbiamo parlato a lungo su queste pagine, in molte occasioni, cercando, fin dove possibile, di ricercare le cause della patologia.
La nostra cartella medica (ma la diagnosi è ancora in corso) espone le seguenti cause preminenti di mortalità delle radio locali:
1) vecchiaia;
2) inedia;
3) mancato ricambio generazionale;
4) disinteresse commerciale;
5) miopia editoriale;
6) soldi.
Più a fondo sui singoli punti, l’estinzione della radio locale trova una delle sue motivazioni nel mancato adeguamento al mutato mercato: oggi le radio libere nell’accezione degli anni ’70 non hanno nessun senso, né mediatico-sociologico, né tecnico.
Cominciando dall’aspetto geografico, rileviamo come le recenti generazioni non distinguano più i mezzi in funzione della loro diffusione (e, a dirla tutta, nemmeno dello strumento di diffusione tecnologico); i giovani di oggi sono stati contaminati dalla nascita da una enorme offerta mediatica, che li ha pervasi, sicché sono insensibili al fascino che infatuò i ventenni degli anni ’70, esaltati dall’improvvisa esplosione di voci alternative alle pochissime accessibili.
Quanto alla dicotomia pubblico/privato, l’attuale pubblico (giovane) pare disinteressato alla distinzione, identificandosi mcluhanamente non nel veicolo ma nel prodotto (ascoltano Fiorello in RAI, come lo ascoltavano a DeeJay), effetto, peraltro, niente affatto negativo, considerato che consente di bypassare antichi pregiudizi di segnatura ideologica (qualcuno già profetizza che, come accade in tv, non ci sarà più la “radio preferita”, ma il “conduttore” o il “programma” d’interesse).
Muore poi chi non ha saputo cogliere la necessità di mutare la propria identità da radio libera (concetto, come abbiamo detto, anacronistico) a radio locale: tipologie profondamente dissonanti per qualsiasi lettore che volesse espandere la riflessione oltre la mera terminologia ed il retaggio socioculturale di specie.
Le radio locali periscono per mancanza del ricambio generazionale. Molto spesso, il sacro fuoco che arse i genitori-fondatori nemmeno intiepidisce l’animo dei figli-successori, sicché, sfiduciati, i primi preferiscono mollare il colpo, ritirandosi e destinando le risorse economiche derivanti dall’alienazione ad attività più aderenti alle reali attitudini degli eredi.
Non raramente, le radio locali affondano tra le burrascose onde del disinteresse commerciale (dell’utenza pubblicitaria): la concorrenza di nuovi strumenti promozionali stordisce l’inserzionista e se la radio – come spessissimo accade – non è (più che) efficace in termini di resa commerciale (il c.d. “ritorno”) viene relegata in fondo alla classifica dei mezzi impiegati.
E’ questo, in realtà, il meccanismo più subdolo: la radio locale non riscuote successo perché non trova la sua (vera) coincidenza; non avendo consenso di pubblico non trova appeal commerciale; non avendo riscontro economico, soccombe abbattuta dalle spese di gestione.
In realtà, trovare la “propria identità” è tutt’altro che semplice: non basta fare un notiziario più o meno locale (attività, nondimeno, niente affatto semplice) per fare una “radio locale”… Senza dilungarci sulla questione (esistono numerosi studi a riguardo e fior di professionisti in grado di disquisire giorni interi sulla questione), ricordiamo il vecchio sprone degli avveduti veterani ai pupilli: “radio locale non deve far rima con banale”.
A riguardo, non rinveniamo di meglio per tratteggiare il concetto che rifarci all’abusato ed antipatico confronto con la stampa: i giornali locali trovano quasi sempre riscontro positivo quando sanno calarsi nella loro identità. Avete mai visto un giornale a tiratura locale (provinciale, ad esempio), scimmiottare, per esempio, Sorrisi & Canzoni Tv? No, naturalmente. Al peggio scopiazza il Corriere della Sera…
E allora perché Radio Paese non riesce a trovare niente di meglio da fare che imitare (malamente, ovviamente) la playlist e la jinglelatura di Radio Network? Miopia editoriale ed imprenditoriale, abbiamo definito questa altra (rilevante) causa di mortalità.
Le radio locali muoiono, infine, per soldi, cioè per la “proposta indecente” che irretisce anche i “iononvenderòmai”.
Quanto può fatturare Radio Paese, che illumina un territorio di 300.000/400.000 abitanti ? Centomila euro? Duecentomila euro? Trecentomila euro (ne dubitiamo)?
Bene, a fronte dei crescenti oneri di gestione, quanto residua all’editore (a livello di utile)? Trentamila euro? Cinquantamila euro? Centomila euro (campa cavallo)?
In realtà considerato che spesso non residua proprio nulla (è un miracolo se si va al pareggio) , come rifiutare l’offerta di cessione dell’impianto di diffusione a Radio Network per un milione (o più) di euro?
Millecanali ha lanciato l’allarme, ma temiamo che i buoi siano ormai scappati dalla stalla.
E la responsabilità crediamo vada oltre alla voglia di libertà dei buoi ed alla disattenzione dello stalliere. (NL)