Non sussiste, in via generale, un obbligo a carico del datore di lavoro di curare la formazione professionale del dipendente; ove, tuttavia, vengano introdotte “radicali innovazioni nei sistemi e metodi di lavoro, tali da incidere, modificandoli, sugli originari contenuti della prestazione lavorativa”, il datore di lavoro ha l’obbligo in relazione alle “clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.) nell’esecuzione del contratto di lavoro di predisporre strumenti di formazione idonei a consentire il necessario aggiornamento professionale del dipendente”. Questa la decisione della Suprema Corte: nel caso di specie ha trovato conferma la pronuncia del giudice dell’appello (e già di quella del giudice di prime cure) con cui erano state accertate l’illegittimità del collocamento del dipendente in C.I.G.S. e della sostanziale inattività del lavoratore, non impiegato dal datore di lavoro, con conseguente riconoscimento del diritto al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, per essere stato illegittimamente lasciato inattivo per oltre quattro anni e pretermesso da ogni iniziativa finalizzata alla riqualificazione professionale. La sentenza in commento si segnala per aver ritenuto che, ove le scelte imprenditoriali siano state piuttosto incisive sull’assetto dell’impresa, e comunque tali da modificare i contenuti originari della prestazione lavorativa, sussiste in capo al datore di lavoro uno specifico obbligo, scaturente dai principi di correttezza e buona fede, circa la formazione e l’aggiornamento professionale del lavoratore, la cui violazione è suscettibile di creare un impoverimento della capacità professionale del lavoratore medesimo. La pronuncia si pone sulla scia della recentissima sentenza Cass., Sezioni Unite, 24/03/2006, n. 6572, che ha individuato il danno professionale (di natura patrimoniale), sia “nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità”, sia “nel pregiudizio subito per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno”. Il pregiudizio alla professionalità deve essere oggetto di specifica e adeguata allegazione da parte dell’interessato, “ad esempio deducendo l’esercizio di una attività (di qualunque tipo) soggetta ad una continua evoluzione, e comunque caratterizzata da vantaggi connessi all’esperienza professionale destinati a venire meno in conseguenza del loro mancato esercizio per un apprezzabile periodo di tempo” (cfr. Cass. SS.UU., n. 6572/2006). (L.B. per NL)