La Corte di giustizia europea si è espressa su alcune vicende relative al passaggio della televisione italiana dall’era analogica a quella digitale. Ovviamente non stupisce che i giudici lussemburghesi abbiamo, tanto per cambiare, randellato lo Stato italiano per i pasticci combinati, in particolare assentendo, con norme e comportamenti discutibili, all’aumento delle rendite di posizione dei superplayer Mediaset e RAI, assegnando loro risorse frequenziali atte a trasportare contenuti ben più numerosi di quanti ce ne fossero in analogico (con ciò alterando gli equilibri concorrenziali e limitando lo spazio per i nuovi entranti) e gestendo un tanto al tocco la gara del beauty contest (per la quale, secondo i giudici UE non vi era l’evidenza di una finalità volta ad aprire a nuovi soggetti).
Come non sorprenderà che il buon senso suggerirà al Consiglio di Stato, cioè il giudice nazionale che ha provocato l’interpretazione del parere della Corte e che dovrà conformare le proprie decisioni all’orientamento espresso dai giudici comunitari, di attendere a metter mano a problemi superati dai fatti (tecnologici), essendo ormai alla vigilia di cambiamenti altrettanto epocali di quelli dell’epoca del passaggio dalla tv analogica a quella digitale (riassegnazione di frequenze a seguito dell’assegnazione della banda 700 MHz alle telco, migrazione al T2, sottrazioni di porzioni di spettro per cautele interferenziali internazionali).
E, infine, non meraviglierà nemmeno che la mano sarà invece messa – e profondamente – nel portafoglio di Pantalone. Che sarà certamente chiamato a riparare ai danni causati ai terzi dalla malagestio digitale…