Negli ultimi anni il dibattito all’interno della sfera pubblica si è incentrato, tra l’altro, su vari temi riconducibili al diritto costituzionale: riforme elettorali, mutamento della forma di governo, ripensamento delle autonomie locali, etc. Di una delle questioni più delicate, tuttavia, si parla con insistenza da oltre un trentennio (anche se la sua origine è ancora più risalente): il riferimento è all’assetto del sistema radiotelevisivo.
La prima sentenza della Corte costituzionale in materia di televisione è del 1960 ed interveniva in una situazione di monopolio pubblico, con la RAI – che allora aveva attivato un solo canale, il «Programma Nazionale» poi trasformato in Rete 1 ed infine ridenominato Raiuno – unica concessionaria del servizio radiotelevisivo; la riserva statale che, nelle intenzioni degli interpreti di allora, avrebbe dovuto garantire meglio di altre soluzioni l’accesso al mezzo e la rappresentazione delle varie istanze sociali, fu progressivamente incrinata a partire dalla metà degli anni ’70, prima in via di fatto e poi in seguito alle nuove pronunce della Consulta (che in sostanza diedero il via libera alla ripetizione delle emittenti estere, alla tv via cavo locale e, soprattutto, alla trasmissione via etere in ambito locale).
Il problema pluralistico emerse in modo prepotente nella prima metà degli anni ’80, in seguito alla nascita rapidissima di un numero considerevole di emittenti private (con l’occupazione di fatto di una gran quantità di frequenze) e, soprattutto, al comportamento di alcuni imprenditori che, di fatto, riuscirono a creare networks di rilevanza nazionale: in particolare, è innegabile che le questioni legate al pluralismo siano diventate di stretta attualità con l’ingresso nel mercato televisivo di Silvio Berlusconi, che nel 1980 diede il via all’esperienza di Canale 5 e nel giro di pochi anni si trovò a controllare tre reti nazionali.
A distanza di circa un quarto di secolo da quegli eventi, i problemi del sistema non sono affatto risolti; anzi, se possibile, si sono acuiti. L’ultima riforma, in particolare, ha creato le condizioni perché – ancora una volta – il sostanziale duopolio tra RAI e reti Mediaset non fosse superato; il pluralismo, che pure campeggia in vari articoli della legge, di fatto resta ancora lontano da raggiungere, a dispetto dei vantaggi e delle possibilità offerte dall’innovazione tecnologica.
Questo lavoro intende offrire una panoramica sul tema del pluralismo nella radiotelevisione, per cercare di comprendere meglio come quel principio così importante sia stato declinato a seconda delle condizioni politiche e sociali. Si comincerà analizzando il ruolo del pluralismo in chiave storica, attraverso l’opera del legislatore, la giurisprudenza ed il contesto sociale in cui esse si inseriscono: il cammino è stato molto complesso ed accidentato, per cui questa sezione risulta piuttosto corposa. Successivamente lo sguardo sarà rivolto al quadro normativo presente, senza trascurare il ruolo giocato dalla normativa comunitaria in questo settore. L’ultimo capitolo si propone di analizzare alcuni “esperimenti” teorici che vorrebbero dare più spazio al pluralismo nel nostro sistema radiotelevisivo: è lecito pensare (si sarebbe tentati di dire «temere») che buona parte di quei tentativi resteranno “sulla carta”, senza dare risultati apprezzabili, ma è sembrato che questa fosse la sede migliore per occuparsene; a ciò – nel corso della stesura di questo lavoro – si è aggiunta una sezione dedicata al caso di Europa 7, la cui vicenda ha interessanti risvolti, non soltanto giuridici. La versione integrale della tesi contiene anche un capitolo “definitorio”, in cui si chiariscono i concetti di base della materia, ed una sezione dedicata alle soluzioni del problema pluralistico adottate in altre realtà europee.
Da ultimo, a corredo dell’elaborato sono state inserite alcune interviste a personaggi che, nella modesta opinione di chi scrive, sono in una posizione privilegiata per intervenire sul tema del pluralismo. Qui sono riportate le testimonianze di chi ha fornito il contributo giuridico alla stesura di una proposta di legge che più di altre sembra rispettare i canoni di pluralismo e di uno dei difensori di Europa 7 (che da costituzionalista ha fornito un apporto di rilievo). Le referenze delle altre persone interpellate (ed inserite nella tesi integrale) sono le più diverse: si va dall’aver operato in prima persona facendo nascere la questione pluralistica in Italia (con la prima tv via cavo), al dover fare i conti quasi quotidianamente con il tema in oggetto come dirigente del servizio pubblico, giornalista o analista.
Non c’è pretesa di completezza in questo lavoro, né è escluso che parte delle considerazioni qui contenute possano essere in breve tempo superate: molto dipenderà dalla decisione del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Centro Europa 7, dopo che la Corte di Giustizia CE ha formulato un giudizio assai poco lusinghiero sul rispetto della normativa comunitaria da parte dell’Italia (né si può tacere la rilevanza del risultato delle elezioni politiche, svoltesi dopo la chiusura dell’elaborato). C’è soprattutto il desiderio di dare, attraverso queste pagine, un (pur minuscolo) contributo ad un tema di assoluto rilievo, la cui attualità è fuori di dubbio. (G.M.)
L’elaborato del dott. Gabriele Maestri è consultabile liberamente in formato pdf cliccando qui.
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Sull’argomento, per un confronto comparativo internazionale, l’amico Andrea Lawendel di Radio Passioni segnala un ulteriore interessante contributo accessibile qui.