Si è spento in sordina, questa mattina, nella clinica milanese dov’era stato ricoverato una decina di gironi fa per accertamenti. E dove, alcuni giorni dopo, le sue condizioni si erano aggravate fino a diventare critiche la scorsa notte. Se n’è andato lontano dagli onori della cronaca, lontano dalla tv, con il lutto un po’ smorzato dalla morte, quasi contemporanea, del “barone” Nils Liedholm e di un altro signore del giornalismo, voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”, Roberto Bortoluzzi. E’ morto, e ora tutti lo rimpiangono, persino quel Silvio Berlusconi che sei anni fa lo aveva accusato di fare “un uso criminoso della televisione pubblica”, e che ora lo incensa etichettandolo come grande professionista.
Sì, era un grande professionista, era un grande maestro di giornalismo, uno di quelli che si starebbero ad ascoltare per ore parlare delle proprie vicende, dei fatti vissuti e raccontati, con il consueto equilibrio e la consueta pacatezza. Retaggio di un giornalismo che ora non c’è più. Gli scoop no, quelli non piacevano ad Enzo Biagi di Pianaccio di Lizzano in Belvedere, classe 1920, sessant’anni al servizio dell’informazione. Tempo fa aveva dichiarato di non ricordarsi d’aver mai fatto uno scoop in vita sua. Eppure di strada ne ha fatta, dai tempi de “L’Avvenire”, alla faccia del giornalismo sensazionalista di oggi, delle notizie gridate e ricamate.
Biagi era un giornalista all’antica, di quelli che, probabilmente, i giovani s’annoierebbero ad ascoltare. Placido, composto, mai una parola fuori posto, mai un tono alto utilizzato nei confronti dell’interlocutore. Neppure quando, forse, ve n’era bisogno. Biagi era così, attaccato ai valori della Resistenza, all’esperienza da partigiano nelle file di “Giustizia e libertà”, alle battaglie ideologiche portate avanti anche in tempi recenti. Eppure rivelava, con la schiettezza d’un ragazzino e l’acutezza di un uomo navigato che nella vita, tirando le somme, contano quei due o tre principi morali che insegnano le mamme da bambini. Più di qualsiasi altra cosa, di qualunque battaglia, di qualsivoglia ideologia politica. Biagi politicamente non ha mai nascosto le proprie simpatie, ma non ha mai nemmeno risparmiato critiche, equilibrate e ragionate, nei confronti di chiunque sbagliasse, di chiunque ragionasse in base ai propri interessi.
Negli ultimi cinque anni avevamo sentito la sua mancanza, lo scorso anno era tornato con “Rotocalco televisivo”, su Raitre, ma in pochi se n’erano accorti. Sarebbe stupido ora rimuginare su cosa avrebbe detto, cosa avrebbe fatto, quali battaglie avrebbe portato avanti in questi cinque anni d’assenza forzata, questo mostro sacro del nostro giornalismo, questa personificazione, assieme a Montanelli, di un’epoca dell’informazione italiana, quella che va dal dopoguerra alla fine del millennio. Ci basta ricordarlo per tutto ciò che ha fatto durante la sua lunga carriera, magari immaginandolo, ora, a scuotere la testa con quel sorriso beffardo, discutendo amabilmente dei pastrocchi del governo, dei decreti per cacciar via gli extracomunitari, dei giornalieri casi-Mastella e del caos in Rai, la sua seconda casa. (Giuseppe Colucci per NL)