Roma – Le cause legali contro i condivisori del P2P, le nonnine morte e intere famiglie americane perseguite dall’industria, sembra stiano rallentando la crescita costante del fenomeno del file sharing, ma i danni (o presunti tali) per le aziende di settore continuano a sfiorare cifre astronomiche. È il dato fondamentale che emerge dal nuovo rapporto di BigChampagne, società di ricerca che si rivela ancora una volta attenta osservatrice della diffusione dei media online.
La società stima in più di un miliardo i brani in formato digitale scambiati sui circuiti di file sharing più popolari nel corso di un mese, contro i 2 miliardi di brani AAC criptati venduti dal dibattuto iTunes di Apple nel corso di quasi tre anni. Considerando che la vendita dei CD-Audio, che tutt’ora rappresenta il core business delle major della musica, è crollata del 23% dal 2000 al 2006, la condivisione e il download non autorizzati su eDonkey2000, BitTorrent, Gnutella2 e gli altri network continuano ad essere la spina nel fianco degli interessi delle aziende di settore.
Interessi difesi a spada tratta, come con cadenza quasi quotidiana viene riportato su PI, a mezzo tribunali e con strategie legali che tendono al patteggiamento per gli utenti-condivisori e alla coercizione al pagamento di multe impossibili da parte delle società produttrici dei software di scambio più usati. Nonostante questo, BigChampagne sostiene che il fenomeno continua a crescere: la velocità di diffusione delle tecnologie di scambio è forse rallentata, ma nulla possono le decine di migliaia di cause legali per assestare il colpo fatale tanto agognato da associazioni quali RIAA e MPAA.
Secondo un analista di NPD Group, tale crescita si è assestata sul 7% per il 2006 negli States, mentre il numero di download illegali è aumentato del 24%. Ma l’industria che ne pensa? “Il P2P rimane un problema inaccettabile”, risponde prevedibilmente Mitch Bainwol, presidente di RIAA. E pare non sia servita a molto l’azione di contrasto che ha portato in questi anni alla dismissione di Kazaa e alla sentenza storica sul caso Grokster.
“Se hai ottenuto il software puoi continuare tranquillamente a fare file sharing”, sostiene Wayne Rosso, ex dirigente di Grokster, perché “le sentenze significano solo che non puoi più distribuire ufficialmente il software”. Che continua a rimanere liberamente disponibile sul web, o anche sugli altri circuiti di P2P ancora attivi. Cause legali a parte, negli ultimi tempi le major sembra si stiano focalizzando su soggetti diversi dai semplici condivisori, prendendo sempre più di mira siti web ad alta popolarità come il social network di YouTube.
Superando le ostilità iniziali fatte di cause e minacce di chiusura a mezzo DMCA, GoogleTube ha ora incassato accordi con giganti quali Universal Music, Warner Music e Sony BMG, accordi che prevedono la diffusione gratuita e autorizzata di brani e clip audiovisive. Insomma, per dirla sempre con Rosso, ora le major fanno affari con “quelli che erano soliti definire pirati”. Dopotutto si tratta della loro audience, ed è loro interesse trovare il modo più adeguato di monetizzare le attenzioni di quest’ultima.
Rimane infine confermata la strategia già perseguita da tempo dalle associazioni di produttori nei confronti della condivisione illegale: il P2P, se proprio non può essere fermato, va assolutamente rallentato e contenuto. Per permettere al mercato legale della musica digitale di crescere in maniera adeguata. “La crescita del mercato legale è stata spettacolare”, sostiene un executive di Universal Music, “il P2P non sta per andarsene ma il problema relativo, per quanto ci riguarda, è destinato a sparire”.
Il file sharing destinato a diventare un interesse di secondo piano per gli attivissimi consulenti legali di RIAA? La possibilità ancora non si intravede all’orizzonte. Di certo, indagini come quella appena pubblicata di ANICA-DOXA, sulle conseguenze dei download di DivX e sulla frequentazione delle sale cinematografiche, non fanno altro che confermare un’idea sempre più diffusa: scaricare film dalla rete non penalizza affatto il mercato cinematografico, anzi lo aiuta.
Alfonso Maruccia