Quello che sta avvenendo nel settore radiofonico è rappresentativo del cambiamento del rapporto di forza in corso.
Agli inizi del nuovo millennio, quando le reti guadagnavano velocemente posizioni in termini di consolidamento editoriale (ascolti) ed economico (volume d’affari) e sul piano locale si verificava una fortissima contrazione degli operatori a favore dei network, delle superstation e delle radio territoriali più strutturate, i rapporti con le concessionarie di pubblicità iniziavano a modificarsi. La maggior parte delle reti si dotava di strutture di vendita captive, esclusivamente dedicate alla raccolta propria e le grandi concessionarie rivalutavano le radio minori (in termini assoluti, non relativi, beninteso), dovendo ripiegare necessariamente su di esse per preservare la capacità portafogliare. Sennonché, la grande crisi economica ha scombussolato tutti i piani, con la fortissima contrazione degli investimenti pubblicitari, il default di alcune concessionarie e la necessità, obtorto collo, degli editori di far buon viso a cattivo gioco. Ora, con l’economia in ripresa, con l’ingresso in forze di Mediaset e le conseguenti iniziative di concentrazione stanno capovolgendo nuovamente la relazione di potere. Per un verso, i player (significativi) sono sempre meno, mentre l’interesse commerciale verso il medium radio cresce, ponderando il distacco verso la carta stampata. Per l’altro, concessionarie di quest’ultima stanno cercando nuovi sfoci per non perdere posizioni ed è naturale che si dirigano verso il mezzo che, previsioni alla mano, ha margini di crescita più interessanti. Insomma, siamo alla vigilia di nuovi importanti mutamenti che porteranno ad un nuovo assestamento del comparto. Che forse sarà quello sostanzialmente definitivo.