Il governo alla camera, dopo aver respinto tutti gli emendamenti convergenti firmati da 73 deputati di maggioranza e di opposizione tendenti a ripristinare il diritto soggettivo, ha corretto l’articolo 44 del decreto economico di propria iniziativa nel maxiemendamento presentato in aula, aggiungendo in coda all’articolo 44 il comma e: «mantenimento al diritto dell’intero contributo previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 250 e dalla legge 14 agosto 1991, n. 278, anche in presenza di riparto percentuale tra gli altri aventi diritto, per le imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 250».
Tradotto in italiano, che vuol dire? Le misteriose «imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale» sono in realtà una sola radio, Radio radicale. E in questo testo un po’ criptico c’è scritto che – una volta eliminato il diritto soggettivo -, se i soldi stanziati in bilancio non dovessero bastare tutti i soggetti che hanno titolo ai contributi diretti (quotidiani e periodici cooperativi, non profit e di partito e radio di movimento politico) ne riceveranno solo una parte, tranne Radio radicale, cui si garantisce in esclusiva «il mantenimento al diritto dell’intero contributo… anche in presenza di riparto percentuale tra gli aventi diritto».
Complimenti! Al governo e ai radicali. Messa così, la misura pare clamorosamente priva di ogni decenza. E fa pensare ad una trattativa mancante di ogni trasparenza e di qualsiasi evidenza pubblica, ma coronata da un clamoroso quanto infelice successo, tra una parte del gruppo parlamentare del Pd (i radicali, appunto) e il vertice del governo.
Sembra un caso classico di quei rapporti oscuri tra stampa e regime, di cui si occupa nella sua splendida rassegna stampa Bordin.
Noi del manifesto pensiamo che l’articolo 44 ferisca una norma di tutela del pluralismo, che riguarda tante testate, grandi o piccole, nazionali e locali, a stampa e radiofoniche, che fanno vivere giornali dovendo sormontare una discriminazione pesantissima, che si produce sul mercato pubblicitario, e fondando la persistenza di queste voci sulla volontà di chi ci lavora di tenerle in vita. E ci battiamo per un diritto di tanti: avanziamo le nostre proposte in modo pubblico e aperto, dicendo con chiarezza anche le cose che nella legislazione attuale non vanno, e che permettono così abusi e sostegni immotivati. (A.G.)
(• da Il Manifesto 31 luglio 2008)