Il lavoratore delle sedi radio-televisive è protetto?

Facciamo il punto della situazione sui rischi che corrono sia i lavoratori sia la popolazione esposta


dalla newsletter Gevam.it

Fonte: Diario Prevenzione http://www.diario-prevenzione.it – tratto da http://lavoro.articolo21.com/index.php

di Aldo Ferrara e Nella Condorelli

Un impianto di telecomunicazione ad alta frequenza è un sistema di antenne per la trasmissione di un segnale elettrico, contenente un’informazione, nello spazio aperto sotto forma di onda elettromagnetica. Le antenne possono essere sia trasmittenti (quando convertono i segnale elettrico in onda elettromagnetica) sia riceventi (quando operano la trasformazione inversa).
Esistono due diverse metodologie di trasmissione: di tipo broadcasting: da un punto emittente a molti punti riceventi, come accade per i ripetitori radiotelevisivi e le stazioni radio base della telefonia cellulare; direttiva: da punto a punto, quella ad esempio dei ponti radio, ripetitori radiotelevisivi sono situati per lo più in punti elevati del territorio (colline o montagne), dato che possono coprire bacini di utenza che interessano anche diverse province.
Sanare il cosiddetto “inquinamento elettromagnetico” è dunque problema reso complesso dal continuo diffondersi degli impianti, anche se la nuova tecnologia digitale radiofonica DAB e quella televisiva che verrà certamente si distinguono per la limitazione dell’emissione. Al momento attuale tuttavia si pone un problema di salute non solo per gli utenti che abitano vicino postazioni SRB ma anche per coloro che svolgono attività lavorativa in ambito radio-televisivo e sono virtualmente esposti ai campi elettromagnetici.
Al momento attuale, il target è:
1) tutelare al massimo la salute dell’uomo e degli altri esseri viventi;
2) minimizzare l’impatto ambientale derivante dall’insediamento degli impianti trasmissivi;
3) beneficiare del progresso tecnologico per migliorare la qualità della vita e del lavoro dal punto di vista economico e dei servizi.
La diatriba in atto sui livelli massimi dei campi elettrici consentiti dalla legge ai fini della tutela della salute pubblica può essere dunque superata dalla stessa tecnologia con l’impiego del “digitale” che, con assoluta certezza, comporta i seguenti risultati:
• drastica riduzione degli attuali livelli dei campi elettrici prodotti dagli impianti radiotelevisivi (fino a cento volte);
• riduzione al minimo “dell’impatto ambientale” con la realistica previsione dell’abbattimento di oltre quindicimila tralicci; con l’impiego di antenne trasmittenti di dimensioni ridottissime (da 20 a 75 cm) e con tralicci di altezza massima di mt. 7;
• sensibile risparmio energetico (fino a 40 volte). Attualmente, ad esempio, un impianto di trasmissione radiofonica che impieghi una potenza di KW 10 di energia elettrica, consuma giornalmente 480 KWh. Il corrispondente impianto radiofonico digitale DAB consuma appena 12 KWh al giorno, vale a dire quanto uno scaldabagno domestico.
• segnali di migliore qualità (a livello di compact disk per la radio e ad alta definizione per la tv);
• utilizzo del servizio dati via radio (per collegamenti con banche e uffici postali, aziende pubbliche e private, università, comuni, regioni, province per l’acceso a banche dati);
In attesa che ciò avvenga, dobbiamo operare per istituire un protocollo di prevenzione per gli operatori a rischio. Infatti è ormai acclarato che i su citati impianti ad alta frequenza possono evocare, in situazioni date, una condizione di malattia. L’aumento della temperatura corporea, generale o locale, può indurre effetti di varia natura e costituire quindi un fattore di rischio per la salute, specie sugli apparati prima citati. Un’analisi delle modalità di esposizione ha mostrato che, nel caso dei telefoni cellulari, viene assorbita dall’apparato cervicale una frazione stimabile tra il 30 e il 50% dell’energia irradiata. Potrebbero quindi essere ipotizzabili effetti termici apprezzabili nonostante questa energia sia, in termini assoluti, modesta.
Una ricerca della University of Washington (Seattle,Usa),1996, ha verificato che esponendo i ratti a livelli di emissioni simili a quelli prodotti dai cellulari si sono registrati danni al Dna che potrebbero facilitare lo sviluppo di tumori e del morbo di Alzheimer. Altre ricerche, condotte in Germania, nelle Università di Lubecca e Bochum, hanno dimostrato la correlazione esistente tra la vicinanza ad una postazione SRB e un aumento delle correnti cerebrali, segnalato da diversi picchi e curve nell’elettroencefalogramma delle persone esaminate.
Gli stessi ricercatori di Lubecca hanno inoltre verificato una diminuzione di circa il 90% nella reazione immunitaria delle cellule colpite. Nel caso dell’apparato oculare, che si trova nelle vicinanze dell’antenna del cellulare, un aumento di temperatura può avere conseguenze ben percepibili: un innalzamento di un solo grado nella sua temperatura interna può infatti portare al glaucoma. Per quanto riguarda l’apparato riproduttore, (molto sensibile all’aumento di temperatura) da studi eseguiti sui ratti, sono state riscontrate sterilità temporanee e permanenti.
Appare però più giustificato l’allarme destato dai ripetitori, che con sempre maggiore frequenza vengono istallati nei centri abitati. Infatti, questi emettono onde quasi a 25 watt (un cellulare, circa 0,6 watt). Il disservizio telefonico (alcune zone non sono servite o il numero di ripetitori è troppo basso in rapporto al numero di utenti) ha indotto i fornitori a garantire la copertura attraverso stazioni radio sempre più potenti, che a loro volta aggravano ulteriormente il rischio per la popolazione esposta. Ma va anche considerata criticamente la sempre maggiore diffusione dei telefoni senza filo per uso domestico.
La Commissione europea ha avviato un programma scientifico che avrà una durata quinquennale e non si limiterà agli effetti dei cellulari, ma si occuperà anche delle antenne per telefonia mobile e di emittenza RTV spesso installate all’interno dei centri abitati senza tener conto degli standard internazionali di sicurezza, ad esempio per la tutela delle radiazioni ionizzanti. Un’analoga ricerca è stata avviata anche dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Nell’attesa che le ricerche scientifiche diano una risposta definitiva sugli effetti negativi sull’organismo, ci troviamo di fronte all’assenza totale di prevenzione e di controlli sui lavoratori a rischio. In particolare, indagini epidemiologiche su alcune categorie di lavoratori professionalmente esposti hanno evidenziato un aumentato rischio di leucemie (Matanoski ed altri, 1993: London ed altri 1994; Therialt ed altri, 1994), di tumori del sistema nervoso (Floderus ed altri, 1994; Thörnqvist ed altri, 1991; Savitz ed altri, 1994), tumori mammari nella donna (Loomis ed altri 1994), tumori mammari nel maschio (Floderus ed altri 1994).
Nel recentissimo documento “Parere e suggerimenti della Commissione tecnico-scientifica” nominata dal comune di Bologna, si evidenziano rischi sanitari dovuti all’inquinamento da radiazioni non ionizzanti e si preconizzano possibili misure di prevenzione per la popolazione; in particolare si afferma che: ..”indagini epidemiologiche di terza generazione ribadiscono l’accresciuta incidenza di leucemie infantili, come pure di tumori al sistema nervoso centrale e alla mammella di lavoratori e lavoratrici esposte, di linfoma maligno nell’uomo e nel cane” (Washburn ed altri 1994; Reif ed altri 1995; Miller ed altri 1996; Milham ed altri 1996; Coogan ed altri 1996) deponendo a favore di un rischio possibile a livelli di esposizione superiori a 0.2 uT (microtesla)”.
Per quanto riguarda le alte frequenze, un’indagine epidemiologica sull’incidenza del cancro (2002) eseguita in occidente nei pressi di una trasmittente radiotelevisiva (quella di Sutton Coldfield , GB) ha dimostrato un incremento di leucemie agli adulti (particolarmente di quelle linfatiche) con un significativo declino del rischio con l’aumento della distanza dal trasmettitore (particolarmente per la leucemia linfatica cronica). Ciò a conferma di quanto verificato negli anni settanta in URSS (Asanova ed altri 1972) quando erano state emanate norme per la protezione dei lavoratori che operavano in prossimità di installazioni elettriche (manutenzione di interruttori, stazioni elettriche ad alto voltaggio) con limiti che risultavano fino a mille volte inferiori rispetto a quelli in vigore attualmente nei Paesi occidentali.
Si impone quindi una legge che definisca limiti di protezione delle lavoratrici e dei lavoratori professionalmente esposti ed appositi controlli sanitari, come prevede già la commissione tecnica del comune di Bologna, la quale nel suo rapporto (2004) segnala che: “.. i dati teorici, sperimentali, epidemiologici già disponibili consentono di cominciare a porsi seriamente il problema dell’adozione di provvedimenti normativi e tecnico-correttivi a tutela della salute pubblica”.
Del resto il problema sta assumendo una dimensione internazionale. La direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990, sui requisiti minimi di sicurezza e di salute relativi alle attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali e la legge dello Stato svedese sulla stessa materia danno indicazioni l’una temporali l’altra di limite di esposizione indicativi del rischio per la salute umana di questa specifica forma di inquinamento.
Nel nostro Paese tre consigli regionali (Abruzzo, Lazio, Veneto) hanno approvato leggi regionali che diminuiscono di circa cinquecento volte il limite inferiore per le esposizioni di campi magnetici stabilito dalla normativa nazionale per gli elettrodotti. L’approvazione delle leggi in parola imporrebbe un limite per l’esposizione della popolazione ai campi d’induzione magnetica a frequenza di rete (50 Hz), pari a 0.2 uT. Stesso limite viene individuato dalla legge svedese sui videoterminali. I dati epidemiologici citati indicano la provvisoria soglia del rischio potenziale per gli effetti “atermici” a lungo termine, come quelli implicati nella cancerogenesi, intorno a 0.2 uT (per il campo magnetico a 50/60 Hz), e a qualche microwatt/cm (per le radiazioni elettromagnetiche di alta frequenza)”. Il principio cautelativo si impone per la necessaria tutela della salute dei cittadini, anche se i dati scientifici ormai sembrano consolidarsi sul rischio per la salute prodotto dalle onde elettromagnetiche. In permanenza di un dubbio deve adottarsi, sul livello del rischio, l’impostazione piú restrittiva consistente nella minimizzazione del rischio e quindi nella definizione del valore piú basso, concordando con l’Organizzazione mondiale della sanità, la quale raccomanda ai legislatori l’adozione del principio di ALARA ( As Low As Reasonably Achievable ), secondo il quale, fatta una scelta tecnologica, l’esposizione alle radiazioni deve essere la piú bassa possibile.
Le indicazioni sopracitate ed altre, quali, per esempio, lo studio condotto in un istituto di Syracuse, nello Stato di New York, che ha evidenziato che anche in una fascia di 150 metri di distanza da linee ad alta tensione si verificano variazioni della composizione del sangue e del battito cardiaco, e che disturbi comportamentali sono stati riscontrati entro una fascia di 300 metri, hanno suggerito i limiti proposti.”
Se obbediamo dunque al principio cautelativo, che pure ha ispirato provvedimenti legislativi sul controllo dei campi magnetici, dovremo anche recepire le istanze delle lavoratrici e dei lavoratori a rischio per prevenire patologie neoplastiche a carico del sistema riproduttore, quello più coinvolto (testicolo, mammella, ovaio) istituendo un Protocollo di indagine nelle sedi di lavoro a rischio ( SRB e sedi televisive, sedi radiofoniche etc. ) e possibilmente istituendo un Registro nazionale di rischio per il lavoratore RTV. Il concerto tra Ministero Salute, Telecomunicazioni e Conferenza delle Regioni dovrebbe portare allo sviluppo di un processo cautelativo soprattutto nei confronti delle lavoratrici, quelle più esposte al rischio professionale.

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