Mancanza di regole omogenee nella raccolta delle informazioni, impossibilità di attribuire con sicurezza un’utenza a una singola persona, alta probabilità di errore nel passaggio dal file registrato alla trascrizione, gestione "allegra"della conservazione dei dati.
Un libro spiega dal punto di vista tecnico come e perché oggi in Italia le intercettazioni non possono essere usate come prove esclusive in giudizio Intercettazioni: la parola chiave della cronaca giudiziaria degli ultimi anni. Per restare ai fatti più recenti, dal caso Scazzi allo scandalo Tarantini, passando per il dramma Parolisi-Rea, accusa e difesa si rincorrono sull’utilizzo e l’interpretazione di migliaia di tabulati telefonici. Nel 2010, secondo i dati del Ministero della Giustizia, una persona su 2.200 in Italia è stata soggetta a intercettazioni. Strumenti ritenuti ormai fondamentali per esprimere un giudizio di colpevolezza, ma sui quali spesso una domanda fa capolino: le intercettazioni sono sicure? E di esse, ci si può fidare? La risposta, dal punto di vista della tecnica delle telecomunicazioni è: no. A spiegare perché è un volume di Lorenzo Bertoni – esperto di Tlc – dal titolo "Intercettabolo" e dal sottotitolo significativo: "Onestà tecnica delle intercettazioni telefoniche". Un centinaio di pagine, edite da Voip Telekom, più un’appendice che riporta l’indagine conoscitiva in materia condotta nel 2009 dalla Commissione Giustizia del Senato; pagine dalle quali emergono i tanti punti deboli dell’attuale sistema delle intercettazioni telefoniche. Che riguardano l’Italia, ma più in generale tutti i sistemi giudiziari che riconoscono e utilizzano questi strumenti per la costruzione delle prove. Qualche esempio? Iniziamo dalla normativa. In Italia manca una regolamentazione tecnica delle intercettazioni telefoniche. Il Codice delle comunicazioni elettroniche del 2003 prevedeva l’approvazione di un Repertorio delle prestazioni obbligatorie, una sorta di protocollo al quale tutti gli operatori di Tlc si sarebbero dovuti attenere nella registrazione e memorizzazione delle telefonate. Tale repertorio non è mai stato approvato. Con l’effetto che, oggi, ogni operatore usa modalità tecniche diverse. E l’Autorità giudiziaria ha a che fare con dati costruiti nei modi più disparati e già per questo suscettibili di errori. D’altronde è la "base" stessa dell’intercettazione a patire un "bug" decisivo: non esistono numeri telefonici univoci. L’identificativo – si spiega nel libro – viene assegnato dal gestore di rete a ogni utente. E grazie alla autonoma gestione di questi identificativi da parte dei provider, non è complicato oggi chiamare un’utenza da Roma fingendo di essere a Milano. E lasciando questa (finta) traccia nei tabulati. Un altro esempio: se si decide di telefonare via Internet, e ci si affida a un Voip provider, che può essere ovunque nel mondo, si può essere quasi certi che l’accoppiata numero identificativo-nominativo non verrà mai a galla. Per risalire a chi ha effettuato la telefonata bisognerebbe infatti "leggere" le registrazioni fatte dal provider nel proprio server, ma questi gestori (spesso società off-shore con server remoti) non sono soggetti a una disciplina che li obblighi a conservare i dati né tantomeno a comunicarli all’autorità giudiziaria italiana. C’è poi la questione della raccolta e conservazione dei dati. L’unica fase immune da rischi di errori e/o manipolazioni è quella della realizzazione del tabulato originale da parte del gestore. Ma poi questo tabulato, per essere inviato alla Procura, deve essere duplicato e il programma che lo fa non è in grado di stabilire se le intercettazioni sono univocamente relative a un preciso utente o se questi in realtà nulla ha a che vedere con il numero di telefono apparso sul tabulato. Insomma, si prende per buono quello che arriva dal gestore, senza possibilità di verifica. La possibilità di errore aumenta, inoltre, perché i dati sono prodotti dagli operatori nei formati più disparati e devono essere "convertiti" in un formato leggibile dall’autorità giudiziaria, cosa che ogni ufficio fa a modo suo perché non esiste uno standard uguale per tutti. Un "fai-da-te" che si ripresenta al momento della conservazione dei dati: tra hard disk, CD o pen-driver, ognuno si regola come crede e non c’è alcuna certezza che i dati non vengano manipolati. Nel sistema giudiziario italiano, l’accusa ha oggi di fatto il controllo totale e assoluto delle intercettazioni, peraltro costruite secondo metodologie non uniformi e poco garantite. Nel campo delle intercettazioni, sottolinea l’autore di "Intercettabolo", la regola èl’assenza di regole e ogni Procura le organizza come meglio crede. Sistemi e attrezzature sono i più eterogenei e il lavoro è affidato a ditte esterne con bassi livelli di controllo. La difesa non può fare alcuna verifica sull’operato della Procura e di queste ditte e l’unica cosa che si ritrova in mano, alla fine, è un CD con le trascrizioni depositato in Cancelleria dalla Procura,. Un "qualcosa" di cui non è dato sapere come sia stato realizzato. Un po’ poco, forse, per utilizzare un mezzo nato per la ricerca della verità come prova autonoma ed esclusiva di colpevolezza a carico dell’imputato. Il volume "Intercettabolo" (euro 11,00) può essere richiesto telefonando al numero +39 02-89877570 o inviando una email all’indirizzo [email protected].