Collaborazione e sinergia tra editori, sistemi di pagamento efficaci per semplicità e sicurezza, patti coi motori di ricerca e con gli aggregatori di notizie, difesa del diritto d’autore.
La presenza di tutti questi fattori consentirà la resurrezione online dei decadenti imperi della carta stampata. Il primo a esserne convinto è stato il lungimirante Rupert Murdoch, precursore del "pay to" in ogni ramificazione del suo universo editoriale, sin da tempi non sospetti, quando il "tutto gratis" sulla rete sembrava ancora l’unico modello pensabile. Ora che il processo profetizzato dal patron della News Corp. ha trovato una involontaria, fortissima, spinta d’affermazione dalla crisi economico-finanziaria del 2008/2009, sono più gli editori che la pensano come lui che quelli titubanti o contrari all’accesso a pagamento all’informazione di qualità in rete. In Italia a condividere il pensiero dello "Squalo" c’è anche il presidente del gruppo Espresso, Carlo De Benedetti, che su Il Sole 24ore ha illustrato come, a suo modo di vedere, sia già finita l’epoca "all free" di Internet. «Un editore non può prescindere dal bilancio, anche perchè quando i conti non tornano è la libertà di espressione a soffrine per prima e di più», ha spiegato sul quotidiano economico De Benedetti, per il quale «l’errore degli editori è stato puntare tutto sulla pubblicità, quasi che potesse esserci una quota aggiuntiva di investimenti da dedicare a internet e in particolare a chi fornisce notizie on line». Esattamente il percorso innovativo (rispetto al modello tradizionale in voga nella più parte del mondo) seguito dalla tv digitale (Sat, Dtt, Ip Tv e presto Web tv) con la formula "pay" prima, "pay per view" dopo e "on demand". E che oggi è stato preso ad esempio dal New York Times, dai quotidiani della galassia di Murdoch e da quelli del tedesco Axel Springer, che stanno per sbarrare l’accesso libero ai contenuti informativi digitali più appetibili dei rispettivi portali. «Se si offre un buon prodotto, chiunque capisce che è ragionevole pagarlo», ha chiosato De Benedetti. L’editore italiano, che con Murdoch è già in sintonia in affari, con il programma (per ora free) Cielo, ospitato sul suo vettore digitale terrestre Rete A, ce l’ha, come l’Australiano, con Google, sucker di contenuti prodotti da altri «senza dare nulla in cambio». Ma come Google ci sono molti altri soggetti: dagli aggregatori di notizie alle rassegne stampa che «non rispettano le regole che tutelano i diritti di proprietà intellettuale. Questi diritti devono trovare una definizione legislativa più netta e, soprattutto, ampliarsi». Per concretare l’obiettivo, per Carlo De Benedetti si deve prima di tutto potenziare la tutela del diritto d’autore, «studiando l’adozione del software e sistemi che consentano un reale controllo dell’uso e del rispetto dei diritti connessi a ciascun contenuto. Nel Regno Unito è operativo un database di ritagli digitali dei giornali cartacei gestito dalla Newspaper licensing agency, cui partecipano i maggiori editori. Chi accede al database e preleva un ritaglio, deve pagare. I guadagni vengono divisi pro quota tra gli editori. Facciamolo anche noi». Il processo, tuttavia, non potrà e dovrà essere irruente, ma progressivo, attraverso "un approccio graduale, che veda mettere a pagamento contenuti oggi non disponibili gratuitamente online ma già pronti all’uso e altri realizzati da hoc, possibilmente esclusivi e di nicchia. Può essere l’occasione per consolidare, in Italia, un approccio di sistema da parte degli editori». Per ora, tra i media, a rimaner fuori dalla prospettiva di un futuro ad accesso a pagamento sembra esserci solo la radio. Ma forse solo perché è ancora analogica.