La premiata ditta Padellaro&Travaglio ha colto nel segno. Perlomeno così pare, a giudicare dai dati, inequivocabili, riguardanti le vendite in edicola e la quota d’abbonamenti online.
Nato da un progetto un po’ visionario di uno sparuto gruppo di giornalisti bravi, scomodi e incazzati, Il Fatto Quotidiano, nelle edicole dallo scorso 23 settembre, si sta rivelando un’idea azzeccata, una mosca bianca all’interno del cupo e poco dinamico settore dell’editoria quotidiana. Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez, Luca Telese, Marco Lillo ed una redazione di giovani arrembanti hanno dato vita ad un prodotto che, approfittando del clima politico e toccando i tasti giusti (quelli che altri si guardano bene dal toccare), è divenuto in breve un vero e proprio fenomeno editoriale, una scommessa riuscita. La scommessa, appunto, era quella di coprire un buco, di rispondere a delle esigenze, di posizionare un prodotto, per natura obsoleto, in uno spazio politico, informativo ed emotivo scoperto. Un giornale contro Berlusconi pensano i più. Un giornale contro, sarebbe probabilmente più giusto affermare. Un giornale che, pur collocandosi inequivocabilmente a sinistra e pur sottraendo copie ai classici giornali della sinistra, è nato con l’obiettivo di tirarsi fuori dai giochi di potere, dalle logiche di coalizione, dalle dinamiche editoriali (importante), per fare informazione semplice, spregiudicata, antipolitica. Il Fatto Quotidiano attacca Berlusconi ed il governo, certo. Attacca, quando c’è da attaccare, anche l’opposizione ed i suoi governi territoriali (vedi giunta regionale della Campania), tralascia l’informazione pop, i casi di cronaca nera di cui si cibano a piene mani i telegiornali e gran parte dei quotidiani, privilegiando la cronaca giudiziaria e percorrendo una strada che la popolarizzazione della politica, l’interesse che il cittadino medio ha iniziato ad assumere per scandali e vicende legali che riguardano gli esponenti politici, gli ha permesso d’abbracciare un bacino d’utenza ampio, pur offrendo un’informazione per certi versi più difficile da decifrare. Se prima nei bar di provincia, ad esempio, era raro ascoltare discorsi che non riguardassero il calcio, oggi la tendenza assunta dalla politica italiana ha fatto sì che nei bar si parli anche di scandali, di processi, di magistrati e di sentenze. Certo, è una delle conseguenze dell’avvicinamento, per certi versi pericoloso, tra politica, informazione popolare e televisione commerciale. Come dire, Berlusconi che se l’è andata a cercare. Approfittando di questo nuovo orientamento, quelli del Fatto hanno lanciato la loro scommessa: perché non sfruttare il trend d’interesse per queste tematiche e tentare di far ragionare la gente in maniera un po’ più approfondita? Posizionamento, qualità e mancanza d’un editore vero e proprio è il giusto mix che ha permesso a Padellaro e soci si raggiungere questi risultati: 132 mila copie al primo numero (esaurito dalle prime ore del mattino praticamente in tutt’Italia), 137 mila (record) al secondo, 125 mila al terzo. Una media superiore alle 100 mila copie nel mese di settembre, leggermente più bassa (c’era da attenderselo) ad ottobre, dove comunque tocca il picco di 133 copie diffuse nel giorno della bocciatura del lodo Alfano, fino ad assestarsi intorno alle 60 mila copie nel mese di novembre. Cui vanno aggiunti i 40 mila abbonati online. Una giusta combinazione, quindi, tra informazione cartacea, la vecchia, tradizionale, superata carta stampata e l’informazione online, quel mostro a tre teste in procinto di fagocitare definitivamente il feticcio cartaceo per sostituirlo con una schermata su un computer portatile. Non va dimenticato, però, che al di là della lungimirante decisione di puntare molto sull’edizione virtuale, Il Fatto in edicola vende ben più de L’Unità, giornale storico della sinistra ex comunista e continua a rubar copie ai concorrenti dell’area di sinistra ed extra parlamentare (oltre al giornale diretto da Concita De Gregorio, il Manifesto e Liberazione). Nonostante il suo prezzo in edicola sia più alto degli altri: 1,20 euro, che ripagano – in parte – l’assenza di contributi pubblici per l’editoria e l’assenza di un ben definito editore, nonostante il recente ingresso nella quota azionaria della società di Aliberti editore, con il 16,6% (stessa quota detenuta dal direttore Padellaro e doppia rispetto al 8,3% in mano a Marco Travaglio). (Giuseppe Colucci per NL)