Il dipendente pubblico che utilizza per scopi privati il telefono dell’ufficio commette reato di peculato

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21165 del 20 maggio 2009, nel confermare la decisione dei Giudici d’Appello, ha individuato quali siano gli usi telefonici privati consentiti e non.

Il caso, sottoposto al vaglio di legittimità, ha riguardato le telefonate di natura privata effettuate con il telefono dell’ufficio da un dipendente dell’Ospedale “Giaccone” di Palermo nel corso di due anni e per un costo di euro 2.354,39. L’imputato aveva sostenuto, fra l’altro, che l’uso del telefono d’ufficio darebbe luogo solo al diritto al rimborso dei costi delle telefonate da parte del datore di lavoro e non anche a conseguenze di carattere penale. Tanto più che, in forza di alcune circolari prodotte in causa dal dipendente, si era instaurato un sistema di controllo in base al quale, alla fine del mese, ogni dipendente avrebbe dovuto segnalare quali comunicazioni erano riferibili a scopi privati. La Corte di Cassazione ha tuttavia rilevato che tali provvedimenti di carattere amministrativo siano da interpretare in armonia con l’ordinamento giuridico ed in particolare con il sistema penale nonché con il codice di comportamento dei dipendenti delle p.a. Per tale motivo non può ammettersi che, in base alle suddette circolari, sia consentito agli impiegati di utilizzare le utenze telefoniche pubbliche per usi privati senza alcun limite. Anzi, le circolari dovevano servire ad un controllo amministrativo dell’uso privato consentito, ossia quello avente ad oggetto sporadici e contingenti utilizzi delle utenze telefoniche. Anche un possibile equivoco, da parte del dipendente, sulla interpretazione di tali circolari, non configura una inesistenza del dolo previsto per la commissione del reato di peculato, ma soltanto un’ignoranza non scusabile dalla legge penale. Così la S.C., facendo propri gli orientamenti giurisprudenziali maggioritari (ex plurimis, Cass. Pen., sez. VI, 7 novembre 2000), ha affermato che “l’uso privato dell’apparecchio telefonico comporta l’appropriazione (non restituibile) delle energie necessarie alla comunicazione, di cui l’impiegato ha disponibilità per ragioni di ufficio, e configura pertanto l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 314 c.p.” L’indirizzo giurisprudenziale maggioritario ha infatti già chiarito che il fatto lesivo che costituisce il reato si sostanzia non nell’uso dell’apparecchio telefonico quale oggetto fisico, bensì nell’appropriazione delle energie necessarie (gli impulsi elettronici) per conversare telefonicamente, che non sono immediatamente restituibili. È invece, secondo gli indirizzi della S.C., esclusa la configurabilità del reato di peculato quando “si verte in quella utilizzazione episodica ed economica del telefono, fatta per contingenti e rilevanti esigenze personali, che rende la condotta inoffensiva”. È dunque lecito per il dipendente pubblico usare il telefono dell’ufficio per comunicazioni private, solo in circostanze eccezionali e sporadiche dovute a situazioni contingenti e rilevanti. L’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione è anche in linea con il decreto del Ministero della funzione pubblica del 31 marzo 1994, Codice di comportamento dei dipendenti delle p.a., che stabilisce all’art. 10, comma 5, che “salvo casi eccezionali, dei quali informa il dirigente dell’ufficio, il dipendente non utilizza le linee telefoniche dell’ufficio per effettuare telefonate personali”. (D.A. per NL)

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