Che la battaglia dell’Ordine degli avvocati (ma degli ordini professionali in genere, compreso quello dei giornalisti) contro la liberalizzazione del mercato dei servizi professionali, cui ha dato una forte spinta il recente decreto Bersani, sia persa in partenza è cosa evidente, che non merita di particolare attenzione. Che a sancire la fine delle rendite di posizione non sia il nuovo governo (che di pecche ne ha veramente tante, ma non quella di essere l’artefice della fine dei professionisti), bensì la ragione prima del mercato globale (la concorrenza), al quale volenti o volenti le corporazioni si devono (obtorto collo) inchinare, è pura evidenza.
Ma illudersi che i dolori di un sistema malato si possano curare con gli anatemi non solo è veramente ridicolo, ma rappresenta la definitiva perdita del contatto con la realtà.
Ci associamo, quindi, e ben volentieri, alla stigmatizzazione della FRT (Federazione Radio Televisione) verso il patetico proclama del Consiglio Nazionale Forense in tema di demotivazione degli iscritti all’Ordine all’impiego delle formule pubblicitarie radiotelevisive per promuovere i servizi professionali.
Scrive così FRT sul proprio bollettino:
15-09-2006 IL CONSIGLIO FORENSE E I MEZZI “DISDICEVOLI”
“Che i mezzi di comunicazione siano ancora visti da qualcuno come una sorta di demo-nio, pericoloso e fuorviante, ci si è ormai a-bituati, ma che a considerarli “disdicevoli” (termine declinato dal vocabolario italiano come “sconveniente, indecoroso”!) sia il massimo organo di rappresentanza istituzio-nale dell’avvocatura italiana è forse un pò troppo. La definizione è contenuta in una circolare inviata il 4 settembre ai presidenti dei consigli dell’Ordine dal Consiglio Na-zionale Forense, in cui viene interpretata per l’applicazione la recente legge Bersani in materia di liberalizzazione di alcuni servizi. Un provvedimento, quest’ultimo, che ha pienamente legittimato la pubblicità delle prestazioni professionali mediante “l’abro-gazione del divieto, anche parziale, di svol-gere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristi-che del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni”.
E’ noto come gli Ordini professionali, non solo quello degli avvocati, vedano come il fumo negli occhi il fatto che i loro iscritti, come in realtà avviene in tutti gli altri Paesi, possano farsi conoscere attraverso la pubblicità, ma per giustificare il mantenimento del divieto, si è ecceduto in una difesa dell’esistente al limite del ridicolo. Per il Consiglio Nazionale Forense infatti la pubblicità rimane vietata, poiché la legge Bersani “non fa cenno alla pubblicità comparativa (che pure si era affacciata in precedenti progetti di riforma delle professioni) né ai mezzi pubblicitari. Pertanto, restano confermate le disposizioni del codice deontologico che vietano la pubblicità comparativa e quelle che prevedono restrizioni in materia di mezzi utilizzati”. E quindi, di conseguenza, come capolavoro finale di un’interpretazione forzata, cavillosa e contra legem: “Non è ammesso l’uso di mezzi disdicevoli, come gli organi di stampa, la radio e la televisione, l’affissione di cartelli negli esercizi, nei luoghi pubblici etc..”.
In ogni caso, al di là delle polemiche sui termini utilizzati, resta la sostanziale ostilità degli Ordini nei confronti della pubblicità, vera e trasparente (ma non anche per quella occulta dei suoi grandi “protagonisti”, proprio su quei mezzi ritenuti “disdicevoli”) contro cui è auspicabilmente necessario un nuovo intervento dell’Antitrust, come sottolineato dallo stesso Ministro Bersani”.
Commenti?
Uno solo: se questa è la difesa dei difensori per eccellenza, allora siamo (sono) proprio messi male.