Il caso Tobagi e la libertà d’informazione. Appello di solidarietà ai giornalisti condannati

Franco Abruzzo lancia l’appello a favore dei colleghi. Un’email basta come adesione


dalla newsletter del sito Franco Abruzzo.it

Obiettivo: sollecitare la politica a rivedere le norme che, come nel caso di Magosso e Brindani, portano alla condanna chi firma un’intervista a un protagonista di una determinata vicenda.

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Breve riassunto dei fatti

Il 20 settembre 2007, presso il Tribunale di Monza, il giornalista Renzo Magosso e l’ex direttore del settimanale “Gente”, Umberto Brindani, sono stati condannati a seguito di una querela per diffamazione presentata dal generale dei carabinieri in pensione Alessandro Ruffino e dalla sorella del generale Umberto Bonaventura da tempo deceduto.

Oggetto della querela un articolo del 17 giugno 2004 in cui Magosso aveva intervistato un ex sottufficiale dei carabinieri, Dario Covolo, che dichiarava di avere presentato sei mesi prima dell’omicidio del giornalista Walter Tobagi (foto) una nota informativa sui terroristi che stavano progettando l’azione criminosa. Walter Tobagi venne effettivamente ucciso il 28 maggio 1980, proprio nel luogo che Covolo aveva indicato. L’informativa era frutto delle informazioni di un militante dei gruppi armati che da tempo collaborava con i carabinieri di Milano e che era “gestito” da Covolo (detto “Ciondolo”)..

Nel corso del processo, Covolo ha ribadito la versione dei fatti fornita a Magosso, confermando la correttezza delle frasi, virgolettate, a lui attribuite nell’articolo. Anche uno dei più stretti collaboratori del generale Carlo Alberto Della Chiesa, l’ex generale di Corpo d’Armata Nicolò Bozzo, ha riferito al Tribunale diversi elementi che contestano le verità ufficiali sulla vicenda Tobagi.

Nonostante ciò, i due giornalisti hanno ricevuto una condanna, che obiettivamente rischia di assumere i contorni di una intimidazione nei confronti di qualsiasi giornalista eserciti, con coscienza e professionalità, il dovere di riferire le notizie di cui viene a conoscenza.

È vero che le sentenze vanno rispettate, ma come hanno commentato il segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa, Paolo Serventi Longhi, e il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, in questo caso non si può non rimanere perplessi e preoccupati.

Nel testimoniare la massima solidarietà verso Renzo Magosso e Umberto Brindani, teniamo anche a rilevare quanto quella sentenza rischi di definitivamente porre la parola fine sull’assassinio di Walter Tobagi, una vicenda che, diversamente, ha suscitato e suscita interrogativi ancora irrisolti.

Il 20 ottobre è fissato, presso il medesimo Tribunale di Monza, l’inizio di un analogo procedimento per diffamazione nei confronti dell’ex carabiniere Dario Covolo. Un procedimento che a questo punto potrebbe avere un esito scontato.

Il nostro appello, che si motiva nella solidarietà verso i due giornalisti, vuole che il nuovo procedimento diventi occasione di chiarezza e di giustizia senza ombre.

PROCESSI. E DIRITTO DI CRONACA

Delitto Tobagi, giustizia è sfatta

di Franco Corleone/Il Riformista del 21 settembre 2007

Nessuna sorpresa dal Tribunale di Monza: Magosso è colpevole e la verità ufficiale sull’omicidio Tobagi è sacra e intangibile. Renzo Magosso, cronista d’assalto e amico di Walter Tobagi è stato condannato per diffamazione verso il generale Ruffino e la sorella del defunto generale Bonaventura per avere pubblicato una intervista a un ex carabiniere dell’antiterrorismo di Milano che senza ambiguità o incertezza affermava di avere presentato sei mesi prima dell’omicidio un rapporto ai suoi superiori con i nomi degli autori del progetto assassino. Una rivelazione sconvolgente per tutti ma in particolare per un collega e amico che già dai giorni del delitto sul quotidiano L’Occhio individuava la pista del gruppo di Marco Barbone fino a denunciarlo il 26 settembre prima della presunta confessione spontanea del capo della Brigata 28 marzo.

Mille euro di multa la richiesta del pubblico ministero accolta dal giudice e rispettivamente 120 mila e 90 mila euro di risarcimento per le parti offese più le spese processuali. Una condanna penale che non è meno grave, anzi più offensiva perché monetizzata in maniera spropositata. Viene da rimpiangere il tempo in cui le questioni d’onore si risolvevano con il duello, ora tutto viene comprato e venduto con il denaro, anche la libertà e la dignità. È un segno dei tempi che anche la giustizia si affidi alla bilancia di Brenno.

Quale è la colpa del giornalista in questo caso che non solo diverrà da manuale ma assumerà il carattere del monito e dell’intimidazione? Secondo il dottor Pepè, il pm che dall’inizio del processo ha mostrato palesemente la sua convinzione colpevolista al limite del pregiudizio, Magosso avrebbe dovuto ridicolizzare Dario Covolo e annullare lo scoop sentendo la controparte. È una tesi che distruggerebbe il ruolo della libera stampa e il diritto-dovere di informazione. Questa sentenza del tribunale di Monza va anche contro una netta pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che afferma la non responsabilità del giornalista per le affermazioni dell’intervistato. In questo caso poi vi era la deposizione di Dario Covolo che in aula si era assunto la paternità testuale delle frasi incriminate.

La vicenda giudiziaria andrà avanti con l’appello, ma peccheremmo di ingenuità riducendo la vicenda a un normale caso di diffamazione. La censura che ha avvolto questo caso, il silenzio assordante di tanti che avrebbero dovuto prendere parola, ha a che fare con le ombre e i dubbi che da ventisette anni circondano l’interrogativo drammatico: Tobagi poteva essere salvato?

La ricostruzione di Covolo oltre alla denuncia dei rapporti tenuti nel cassetto per ragioni misteriose (sciatteria, sottovalutazione, insipienza nella più innocente delle ipotesi) ha fatto emergere un altro punto dolente, il ruolo di Rocco Ricciardi, militante dei gruppi armati di quegli anni nella zona di Varese e da un certo momento confidente dei carabinieri. Sergio Segio nell’incontro pubblico del 23 luglio al Centro San Fedele di Milano e nel testo presente nel Libro Bianco che abbiamo presentato martedi scorso al Circolo della Stampa avanza l’ipotesi che la collaborazione di Ricciardi sia cominciata ben prima del marzo 1979 e protrattasi dopo l’ottobre 1980. Una collaborazione ben più importante di quanto si sia voluto far credere.

Si aprono scenari inquietanti e davvero è fuori dal mondo la pretesa che una sentenza per diffamazione metta la parola fine alla chiarificazione necessaria di eventi che devono entrare nella storia e non essere sepolti dall’oblio. Come è interessante la denuncia del generale Bozzo che sempre a Monza ha dichiarato che la catena di comando del carabinieri di Milano era rappresentata da personaggi ex repubblichini e affiliati alla P2 e che non rispondevano alla logica dello Stato democratico.

Una multa di mille euro non può fermare un approfondimento di cui nessuno può avere paura. I deputati Boato e Buemi hanno presentato nei giorni scorsi una interpellanza al presidente del Consiglio e ai ministri della Giustizia e dell’Interno per chiedere quali iniziative intenda assumere il governo contro ogni possibile omissione nella ricerca della verità. Mi pare che il Parlamento sia la sede adatta per sciogliere un groviglio inquietante. Nella scorsa legislatura, il 16 giugno del 2004, Marco Boato illustrò un documento ispettivo sempre su questo caso e la risposta del governo, del ministro Giovanardi, fu definita dall’interrogante come «semplicemente indecente». Questa volta il governo non si dovrà trincerare dietro le verità ufficiali delle procure o dei carabinieri.

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