Il progressivo sviluppo della rete telematica internazionale, ha reso sempre più importante la necessità di aggiornare il complesso di norme che, nell’Europa continentale, presiedono alla tutela civilistica della personalità. La premessa argomentativa fondamentale, da cui prendere le mosse, passa attraverso la elaborazione delle due nozioni distinte di identità personale e identità digitale. Con l’espressione “identità personale”, si è soliti fare riferimento ad una formula che, nell’ambito giuridico, assume un valore prettamente semantico. In base ad una prima, e più vecchia accezione, essa qualifica il complesso delle risultanze anagrafiche di un soggetto giuridico, che permettono di individuarlo e proteggerlo nelle sue “vicende” davanti alla Pubblica Amministrazione o tra i soggetti privati. In una prospettiva più attuale, invece, questa nozione si è arricchita anche, della capacità di indicare la sintesi ideale della sua “biografia”. E’ infatti in questa logica che si parla di diritto “all’identità personale”, espressione che di recente ha assunto dignità normativa. Essa, infatti, si ritrova espressamente sia nell’art.1 della legge 31 Dicembre 1996, n. 675 che nell’art.2 del Dlgs. 30 Luglio 2003, n.196 (Codice in materia di protezione dei dati personali). Questi testi arricchiscono, ma non delimitano in modo definitivo, la nozione di identità personale, che pertanto rimane di matrice prevalentemente dottrinale e giurisprudenziale. Con una visione propria della teoria generale del diritto, possiamo affermare che l’identità personale rappresenta un “bene-valore”, costituito dalla promozione della personalità dell’individuo a soggetto sociale, e che viene riconosciuta e tutelata , attraverso il diritto del soggetto stesso di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, e di non vedere travisato il proprio patrimonio intellettuale, ideologico, etico, religioso e professionale. Per contro l’espressione “identità digitale” non gode di una propria vita normativa. Il Codice dell’Amministrazione Digitale (D.lgs 7 Marzo 2005, n. 82) prevede soltanto le nozioni di “carta d’identità elettronica” (artt.1, lett. C e 66 C.A.D.) e di “ firma digitale” (artt.1, lett. S C.A.D). E’ pur tuttavia vero che, nella sua versione originaria e sino alla novella del 2006, tale testo adottava la formula di “ identità informatica”, espressione molto vicina a quella di identità digitale. Nell’ art. 1, lett. e) di tale Codice, si qualificavano come “certificati elettronici”, gli attestati “ che collegano i dati utilizzati per verificare le firme elettroniche ai titolari e confermano l’identità informatica dei titolari stessi”. Benché priva di specifici riscontri legislativi, la nozione di “ identità digitale” ha comunque acquisito una sua dignità giuridica. Anch’essa viene declinata in due modi separati. In una prima, e più ampia forma, l’espressione è utilizzata come sinonimo di identità “in rete”o virtuale. In un’altra più ristretta, viene usata dagli esperti di informatica e dai cultori del diritto dell’informatica per designare:” l’insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto”. Queste informazioni sono solitamente protette da un sistema di accesso condizionato. L’autenticazione dell’utente, può avvenire tramite parola chiave (password), caratteristiche biologiche (iride, impronta digitale, impronta vocale, riconoscimento del volto), oppure grazie ad un particolare oggetto (tessera magnetica, smart card). Appare perciò di intuitiva evidenza che, la problematica della tutela dell’identità digitale, dovrebbe avere riguardo a due nodi focali: primo quello della protezione dell’identità personale all’interno della rete (sotto un profilo cosiddetto reputazionale), e secondo quello delle tecniche di identificazione del soggetto, tramite l’uso di strumenti telematici. Si tratta di due aspetti logicamente separati, ma sostanzialmente correlati dello stesso problema: basti pensare che la capacità di assumere diverse identità sul web (e addirittura di trovarsi di fronte al proprio clone, secondo l’esperienza di Sherry Turkle), è condizionata alla possibilità di conservare una qualche forma di anonimato e, perciò, di non venire “identificati” con la propria identità reale. Per contro legittimare una tutela dell’identità “prescelta” e cioè di una sorta di maschera virtuale (si pensi agli avatars, alter-ego creati dagli utenti del sito web “Second Life”), come spesso accade in tema di tutela dello pseudonimo, oppure quella del right of publicity (Diritto di Pubblicità) o di altri diritti sulla proprietà intellettuale, presupporrebbe una certa stabilità nell’uso dei segni distintivi, che potrebbe essere garantita attraverso dei più o meno sofisticati sistemi di identificazione. Infatti anche nel mondo virtuale, tendiamo a riproporre, sia pur con altri presupposti ed implicazioni, temi e problemi già più volte affrontati e risolti dal sistema giuridico, nel contesto dei cosiddetti rapporti “offline”, e cioè al di fuori di internet. La stessa relazione tra status giuridico dell’identità personale, e tecniche di identificazione del soggetto, oggi al centro dell’intera riflessione sull’identità in rete, rappresenta una tappa obbligata, nell’ambito del processo di elaborazione di un moderno sistema di tutela civilistica della personalità, come concretamente andato delineandosi, nel panorama giuridico attuale dell’Europa continentale. (Paolo Masneri per NL)