Il nuovo caso dell’opera elaborata dall’intelligenza artificiale intitolata “The Electrician” del fotografo tedesco Boris Eldagsen torna a far parlare delle criticità legate all’utilizzo dell’IA e al connesso riconoscimento di diritti di proprietà industriale e intellettuale (diritto d’autore e diritti connessi).
Il caso The Electrician
Particolare è la posizione sostenuta dal fotografo tedesco Boris Eldagsen, che lo scorso mese ha partecipato al prestigioso concorso di fotografia riconosciuto a livello mondiale Sony World Photography Awards (SWPA) esponendo la sua opera dal titolo “The Electrician”, della serie “Pseudomnesia: Fake Memories”.
Il rifiuto del riconoscimento
L’artista con la sua opera si è aggiudicato il primo posto nella categoria “Creative”, ma il premio tanto ambito è stato in seguito rifiutato. Il motivo del rifiuto? Il fotografo ha ammesso che l’opera fotografica vincitrice, in realtà, tale non è, essendo stata creata dall’intelligenza artificiale.
Non c’è gara
Come lo stesso Eldagsen ha dichiarato apertamente: “Le immagini create con l’IA e la fotografia non dovrebbero competere tra loro in un premio come questo. Sono cose diverse. L’intelligenza artificiale non è fotografia. Pertanto non accetterò il premio”.
Stimolare una discussione sul tema
E allora verrebbe da chiedersi: perché Eldagsen ha voluto partecipare al contest? La decisione del fotografo tedesco di partecipare al concorso è stata segnata dal semplice desiderio di testare la concorrenza e creare una discussione sul futuro della fotografia. Una scelta, (per così dire) sfrontata, quella di Eldagsen, che ha affermato di voler “accelerare il processo di presa di coscienza della differenza tra le fotografie scattate da esseri umani e quelle generate dall’intelligenza artificiale”.
Problematiche irrisolte
Grazie all’artista (e alla sua opera “The Electrician“) che si è fatto portavoce dei mutamenti derivanti dall’utilizzo dell’IA nel nostro quotidiano, la problematica IA/proprietà intellettuale e industriale torna in auge; ma, ancora oggi, le criticità che sono già state ampiamente sollevate sulle nostre pagine, non hanno trovato soluzione.
Il nodo sul riconoscimento della paternità dell’opera creata con l’IA
In assenza di una normativa e/o di casi giurisprudenziali che costituiscano dei precedenti, al momento resta fermo il nodo su chi, tra il fruitore di un software di IA e lo sviluppatore di quest’ultimo, debba essere considerato autore, nonché titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera.
I Termini di utilizzo di ChatGPT
Una soluzione potrebbe essere quella di impostare il rapporto come ha fatto OpenAI con ChatGPT. Nei Termini di utilizzo del Chatbot è stabilito espressamente: “È possibile fornire input ai Servizi (“Input”) e ricevere output generato e restituito dai Servizi in base all’Input (“Output”). Input e Output sono collettivamente definiti “Contenuto”. Come tra le parti e nella misura consentita dalla legge applicabile, tu sei il proprietario di tutti gli Input”.
OpenAI ti assegna tutti i suoi diritti, titoli e interessi in e verso l’Output
“A condizione che tu rispetti i presenti Termini, OpenAI ti assegna tutti i suoi diritti, titoli e interessi in e verso l’Output. Ciò significa che puoi utilizzare i Contenuti per qualsiasi scopo, inclusi scopi commerciali come la vendita o la pubblicazione, se rispetti i presenti Termini. OpenAI può utilizzare i Contenuti per fornire e mantenere i Servizi, rispettare la legge applicabile e applicare le nostre politiche”.
La gentile concessione di OpenAI
OpenAI ha dunque previsto di cedere all’utente tutti i diritti di proprietà intellettuale sull’Input (comando) e Output (risultato), fatto salvo il solo diritto dello sviluppatore di usare il contenuto per la gestione ed il miglioramento del servizio offerto.
OdG
In questo caso, la questione trova facile soluzione, avendo le parti disciplinato espressamente il rapporto. Ma in assenza di una chiara clausola contrattuale le cose si complicano. L’avvocato Alberto Contini del Foro di Milano in un articolo pubblicato sul sito dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia pone delle importanti riflessioni sul punto.
E’ questione di Input di qualità
L’avvocato ritiene che si dovrebbe guardare alla “qualità” dell’Input fornito al sistema. Se si tratta di un semplice prompt privo di qualsiasi dettaglio o dato particolare, elaborato interamente dall’IA, la titolarità dovrebbe spettare allo sviluppatore del software, in quanto soggetto che ha realizzato un sistema in grado di creare il contenuto.
Richiesta sostanziale
Qualora, invece, la richiesta formulata dall’utente sia di tipo “sostanziale” (vale a dire che per ottenere un certo risultato l’utente sceglie accuratamente una serie di dati fattuali, articolati e complessi, raccolti e selezionati secondo una logica che poi il sistema dovrà riorganizzare seguendo la stessa logica imposta dall’utente medesimo), “allora la titolarità dovrebbe spettare all’utente o quanto meno essere gestita in comunione tra entrambi i soggetti, secondo quote da stabilire anche in base al concreto apporto delle rispettive attività alla creazione dell’opera“, specifica il legale.
Necessaria certezza del diritto
Certo, al momento sono solo supposizioni, ma si auspica che presto il legislatore possa dare qualche elemento più chiaro per dare a questa branca del diritto un po’ di certezza.
L’importanza di contrattualizzare
In attesa di ciò, la strada percorribile per salvaguardare i reciproci diritti e interessi in gioco sarebbe quella di negoziare e disciplinare contrattualmente la titolarità del diritti (morali e di sfruttamento economico) sulle opere (di qualsiasi tipologia: foto, immagini, testi letterari) generate dall’IA.
Tutelabilità sì, ma a condizione che l’opera sia creativa e originale
Per quanto riguarda invece il riconoscimento di una protezione giuridica di un contenuto creato dall’IA, questo dovrebbe essere accordato, a condizione che ricorrano determinati requisiti (gli stessi valevoli per opere create da esseri umani): la creatività e l’originalità. (G.S. per NL)