I principi di irretroattività della legge penale e di retroattività della norma di favore, con particolare riferimento al sindacato di legittimità costituzionale sulle norme di favore

Nullum crimen sine praevia lege poenali scripta e stricta


Le novita’ di Diritto & Diritti del 03/07/2008

Coerentemente alla matrice liberal-garantistica sottesa al principio di legalità accolta dal nostro ordinamento e valorizzante la libertà del cittadino da limitazioni arbitrarie da parte dei poteri statali, l’ordinamento costituzionale italiano vincola il legislatore ed il giudice a prevedere ed irrogare sanzioni per le sole condotte violative di diritti/obblighi previsti ex lege.
Il sommo bene della libertà personale, affermato costituzionalmente dall’art. 13 Cost., può essere inciso dalla sanzione penale nei limiti in cui il soggetto sia stato messo nelle condizioni di conoscere sia l’esistenza ex lege (principio della riserva di legge) che la portata (principio di tassatività e divieto di analogia) dei precetti penali. e di adeguare ad essi, conseguentemente, le sue condotte future. Potrà essere chiamato a rispondere per i soli fatti costituenti reato secondo una legge vigente al momento della commissione, anche se non conosciuta (ignorantia legis non exusat), ma conoscibile (ignoranza evitabile, ex art. 5 c.p. secondo la formulazione della C.Cost. con sent. n. 364 del 1988), al medesimo psicologicamente rimproverabile (principio di colpevolezza intesa come attribuibilità psicologica del fatto reato).
La programmazione della propria vita al riparo da sofferenze nella sfera della libertà personale e morale, richiede, innanzitutto, la preesistenza del precetto rispetto alla sua violazione, non potendo essere chiamato a rispondere per fatti solo ex post qualificati come reato, né per fatti commessi successivamente al venir meno del carattere di illecito penale del fatto (principio di non ultrattività).
Viene, così, delimitato il perimetro temporale di qualificazione e punizione del fatto come reato ai soli fatti commessi nella vigenza della legge penale incriminatrice (principio di attualità – tempus regit actum) che li contempla, in forza della quale sono puniti, e prima ancora, esplicante una efficacia deterrente attraverso la minaccia della sanzione più incidente sul fondamentale bene della libertà personale, la pena (funzione di prevenzione generale).
Principio cardine attraverso il quale vanno, pertanto, lette le norme costituzionali e di fonte primaria è quello, appunto, del favor libertatis. Con sommo rispetto del quale vanno interpretate le norme di cui all’art. 25.2 Cost. e 2 c.p. sancenti l’irretroattività della legge penale sfavorevole al reo e la retroattività della normativa migliorativa del trattamento del reo.
L’accoglimento del principio di irretroattività relativa a livello costituzionale è, anche, suffragato dai lavori preparatori, chiave di interpretazione dell’art. 25.2, che sanciscono la irretroattività della normativa sfavorevole e rimettono al legislatore ordinario le scelte dell’an della retroattività o meno della legge sfavorevole.
Se si ravvisa nel disposto costituzionale dell’art. 25.2 l’affermazione del principio di irretroattività relativa (delle sole norme sfavorevoli) si nega, tuttavia, al principio di retroattività della norma più favorevole rango costituzionale, insuscettivo di rientrare nel paradigma dell’art. 25, ma pur riconoscendo ad esso elevato rango alla luce della normativa comunitaria ed internazionale che lo richiama (Patto intern. dir civ. e pol., N.Y., 1966 e tradizioni costituzionali degli Stati).
Quindi, una legge che precluda l’applicazione retroattiva delle sue disposizioni normative favorevoli, non contrasterebbe con alcuna disposizione costituzionale, non assurgendo il relativo principio a tale rango, tuttavia, deve essere ragionevolmente discriminatoria (diverso trattamento per fatti analoghi) ex art. 3 Cost. e solidamente giustificata in considerazione dell’elevato rango extrastatuale riconosciuto.
La legittimità costituzionale del principio di retroattività della norma favor rei sancito dall’art. 2 c.p., soddisfa insieme al costituzionalizzato principio di irretroattività della legge sfavorevole al reo, i superiori principi del favor libertatis e di uguaglianza.
Il principio di irretroattività ha, altresì, rappresentato storicamente un ostacolo logico giuridico per la punizione dei responsabili di crimini contro la pace e l’umanità, invocato come pretesto per preservare le immunità della delinquenza di Stato (si pensi ai Tribunali di Norimberga e Tokyo creati ad hoc per comminare pene per reati applicati retroattivamente); ostacolo da superare e superato in nome di sommi ed inderogabili principi di giustizia umana, come accolti nel Patto sui d.p.e c. delle N.U. e dalla Conv. Eur. Dir. Uomo.
L’opposto principio di retroattività è stato, poi, accolto da quegli ordinamenti a legalità sostanziale coincidenti con regimi totalitari che in nome di fini ed interessi assoluti ed inderogabili, non esitavano a punire condotte commesse precedentemente all’entrata in vigore della legge incriminatrice in nome della difesa sociale; difendere la società e perseguire i fini del regime, innanzitutto garantirne la sopravvivenza attraverso la punizione di condotte, a prescindere dal momento della loro commissione, tali da metterli in pericolo (si pensi all’esigenza di “conformità allo scopo” del diritto penale socialista; alla legge penale a difesa dello Stato nazista con applicazione retroattiva anche della pena di morte).
Si esclude trattasi di successione di norme la mancata conversione del decreto di legge, diversamente se convertito con emendamenti, e delle leggi dichiarate incostituzionali, perdendo entrambi efficacia retroattivamente (ex tunc).
Per escluderlo, bisogna, però, chiarire il senso e la portata del fenomeno.
La successione di leggi penali nel tempo è stato anche inteso in senso lato, comprendente, cioè, oltre alla ipotesi di successione modificativa di legge penale (incriminatrice) preesistente (art. 2.3) (ravvisata dalla maggior dottrina come l’unica ipotesi di successione di leggi penali nel tempo propriamente detta), anche la nuova incriminazione di fatto prima non costituente reato e consentito da una asserita norma implicita permissiva (I termine della successione), e dell’abolizione di fattispecie prima esistente per abrogazione, scadenza del termine (leggi temporanee), della situazione eccezionale (leggi eccezionali), referendum (abrogazione totale) o per riduzione dell’area di illiceità penale (abrogazione parziale).
La legge abolitrice di incriminazione esistente, quale disciplina favorevole per eccellenza, risultato di una opposta valutazione legislativa di non contrarietà del fatto tipico all’interesse collettivo e di pericolo per la pace sociale, ha efficacia retroattiva e travolgente l’eventuale giudicato già formato, in nome del costituzionale principio di uguaglianza e, appunto, di favor libertatis.
Per stabilire in caso di successione modificativa se il fatto continui ad essere considerato reato e sussumibile, quindi, nella legge successiva, o, diversamente, sia da considerarsi abrogato ex art. 15 prel. per effetto della nuova legge, sono stati elaborati diversi criteri.
Il criterio della continuità del tipo di illecito che afferma la persistenza del carattere illecito del fatto se, raffrontate entrambe le fattispecie, le medesime siano rivolte alla tutela del medesimo oggetto giuridico e sanzionino la medesima modalità di aggressione del bene stesso. Contra è stato affermato in dottrina la genericità ed astrattezza dei parametri non sufficientemente certi per orientare la condotta dei consociati e fondare sui medesimi la punizione, con conseguente rischio di arbitrarietà del giudice. La Corte Costituzionale ha, però, fondato sul criterio in commento la continuità dell’illecito e la punibilità delle condotte commesse sotto il previgente reato di interesse privato in atti d’ufficio sussunte sotto il nuovo reato di abuso d’ufficio.
Obiezioni sono sollevabili anche in relazione al criterio secondo il quale sussiste continuità se il caso concreto sia sussumibile sia nell’una che nell’altra fattispecie.
Generalmente condiviso è il criterio formale che si basa sul rapporto di continenza tra le fattispecie astrattamente considerate. Questo è ravvisabile laddove le fattispecie siano in rapporto di genus a species reciproco.
Sia nell’ipotesi “tradizionale” nella quale la legge successiva sia speciale rispetto alla precedente, ovvero la contempli integralmente, ma specificando il fatto tipico di elementi caratterizzanti, che nell’ipotesi di legge generale successiva estensiva dell’area di fatti prima di allora illeciti solo se presentavano determinati elementi speciali. Nel primo caso, l’introduzione nel sistema di una fattispecie speciale, riduce l’area di illiceità richiedendo per integrare la tipicità altri, ulteriori elementi rispetto alla fattispecie previgente. Per i fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, se sussumibili nella sola fattispecie generale, saranno da considerarsi abrogati dalla normativa successiva, mentre manterranno il carattere illecito i fatti che già presentano i caratteri speciali poi richiesti dalla legge successiva, purché già sussumibili nella previgente fattispecie generale. Nel secondo caso, più agevole è ravvisare la persistenza del carattere illecito di fatti che al momento della commissione presentavano caratteri speciali poi “riassorbiti” nella fattispecie generale.
Successione si ravvisa, altresì, anche nell’ipotesi di abrogazione di fattispecie speciali e riespansione della fattispecie generale preesistente; si pensi all’abrogato reato di infanticidio per causa d’onore, non sussumibile nel successivo reato di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale, i cui comportamenti mantengono carattere di illecito in quanto integranti la fattispecie generale di cui all’art. 575 c.p., con applicazione della disciplina più favorevole.
La “scelta” dal punto di vista del trattamento da riservare al reo, ferma la continuità del carattere penale del fatto, va operata raffrontando i trattamenti rispettivamente previsti dalle norme, termini del fenomeno successorio, e che sarebbero applicabili al caso concreto.
Si tiene all’uopo conto di tutti gli effetti capaci di rendere una normativa, sotto il profilo del trattamento, più favorevole, come minor minimo edittale se applicabile al caso concreto, o minor massimo, diversa qualificazione del reato da delitto a contravvenzione, circostanze attenuanti, esimenti, scriminanti, previsione di una condizione di procedibilità se non già proposta, condizioni per beneficiare della sospensione condizionale, perdono giudiziale, etc..
Le norme penali “di favore”, o meglio che introducono effetti favor rei, sono, appunto, quelle che migliorano le condizioni di trattamento del reo, e quelle, par excellence, abolitive di una incriminazione prima esistente.
La diversità tra le due rileva sotto il profilo dell’intangibilità, nel primo caso, del giudicato, appunto, perché continuano ad essere qualificati come reato e nel suo travolgimento, nel secondo, alla luce degli artt. 3, 25 e 13 Cost..
Una legge penale di favore dichiarata illegittima costituzionalmente cessa di avere efficacia con effetto retroattivo (ex tunc). Il riconoscimento di siffatta efficacia, rispetto al tenore letterale dell’art. 136.1 Cost. che prevede la caducazione della legge dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte è da ravvisare nell’art. 30 l. 87/1953 e dalla necessaria rilevanza che la decisione stessa debba avere nel giudizio a quo, mancando la quale mancherebbe l’interesse delle parti di sollevare e del giudice di accogliere, se non manifestamente infondata, l’eccezione di incostituzionalità della norma applicabile al caso di specie.
Non può a tale stregua non estendere la sentenza della Corte la sua efficacia al fatto oggetto del giudizio a quo, ovvero ai fatti commessi anteriormente, quindi con efficacia retroattiva. Se, però, la legge dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia dal momento della sua emanazione, con riespansione della normativa precedente, viene meno il secondo termine necessario per aversi successione e conseguente applicazione della normativa più favorevole.
Questo è un aspetto molto discusso in dottrina, affermando taluni la applicazione, nonostante la sua dichiarazione di illegittimità costituzionale, degli effetti favor rei previsti dalla normativa caducata, in virtù del principio immanente nel sistema penale del favor libertatis e del principio applicativo di irretroattività, che sarebbe violato qualora si applicasse la normativa più sfavorevole preesistente e riespansa (a fortiori se la legge dichiarata incostituzionale era abrogativa).
Controdeduzioni si possono cogliere dal combinato disposto degli artt. 77 e 136 Cost. e 30 l. 87/’53 volti a tutelare la comunità contro lo strapotere del Governo o della maggioranza parlamentare, che mediante decreti legge o legislativi preordinatamente incostituzionali, potrebbero assicurare l’impunità degli autori di gravi reati.
Se, dunque, il rischio delle dichiarazioni di illegittimità incostituzionale di norme di favore è quello di assoggettare la disciplina dei fatti commessi sotto la vigenza della normativa caducata con applicazione retroattiva della normativa sfavorevole riespansa, la Corte Costituzionale ha seguito un costante orientamento. Se la rilevanza, oltre alla non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità della legge applicabile al caso concreto, nel giudizio a quo sono presupposti fondamentali per adire la Corte, la inapplicabilità della disciplina sfavorevole preesistente, in virtù del principio di irretroattività, impedirebbe alla Corte di pronunciarsi. La questione sollevata dal giudice a quo sarebbe inammissibile perché non rilevante, cioè i relativi effetti (pregiudizievoli) non incidenti nel caso di specie, in ottemperanza del principio costituzionale di irretroattività delle norme penali di sfavore.
Questa causa impeditiva alla Core di pronunciarsi su norme di favore, è stata intaccata da altre sentenze della Corte Costituzionale, considerando la normativa di favore sotto la lente del principio di uguaglianza, addivenendo a pronunce di illegittimità costituzionale qualora la stessa apparisse odiosamente ed arbitrariamente discriminatoria, apportando diversità irragionevoli di trattamento per il medesimo fatto, una volta accertato che la scelta legislativa è quella di penalizzare quel tipo di condotte.
Inoltre, in considerazione del rango costituzionale o comunque elevato che si voglia riconoscere al principio di retroattività della norma di favore, il suo sacrificio, oltre ad essere dettato da imprescindibili esigenze egualitaristiche, deve trovare un saldo appiglio giustificativo.
Se, dunque, la Corte non può autoprecludersi il sindacato di costituzionalità pur su norme di favore a pena di istituire zone franche, all’interno delle quali la produzione legislativa diventerebbe incontrollabile. A contrario, il rischio opposto è nella possibile ingerenza del sindacato della Corte sulle scelte politiche-legislative che hanno ispirato una certa normativa favor rei.

D.ssa Sara Ronconi

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