I nuovi limiti alla tutela del diritto di autore derivanti dalla sentenza “Schwibbert” della Corte di giustizia delle comunità europee sez. III del 08.11.2007

In tre recentissime sentenze la S.C.affronta la problematica della tutela delle opere d’ingegno tramite l’apposizione del contrassegno SIAE e dell’applicazione al nostro sistema giudiziario delle direttive europee


Le novita’ di Diritto & Diritti del 29/05/2008

In tre recentissime sentenze la S.C.( sez. III pen. nn. 13810,13816 e13853 depositate in data 02/04/08, consultabili in allegato) affronta la problematica della tutela delle opere d’ingegno tramite l’apposizione del contrassegno SIAE e dell’applicazione al nostro sistema giudiziario delle direttive europee 98/34/CE, 98/48/CE e 83/189/CEE alla luce del parere vincolante espresso dalla sentenza Schwibbert, emessa dalla CGCE, richiamata in epigrafe.
Essa si riferiva alla domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale di Forlì, con l’ordinanza del 14/12/04, nell’ambito del procedimento penale a carico di Karl Josef Wilhelm Schwibbert, titolare dell’omonima società che aveva riprodotto su CD, privi del bollo SIAE, opere dei pittori De Chirico e Schifano per commercializzarli in Germania.
La Corte di Giustizia stabiliva, dopo un ricco excursus normativo e giurisprudenziale (cui si rinvia integralmente), quanto segue: “… la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, come modificata con direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE, dev’essere interpretata nel senso che disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nella causa principale, in quanto abbiano stabilito, successivamente all’entrata in vigore della direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, 83/189/CEE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno «SIAE» in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituiscono una regola tecnica che, qualora non sia stata notificata alla Commissione, non può essere fatta valere nei confronti di un privato …” (neretto e corsivo miei ndr).
Allo stato, come si evince dalle sopra richiamate decisioni della S.C., l’Italia non ha ancora provveduto ad assolvere a questo compito con le ovvie conseguenze legali che ci si appresta ad analizzare. Si proceda con ordine.
I casi presi in esame dalla Cassazione riguardano i gravami, in sede di legittimità, di due statuizioni della CDA di Pa (nn. 13816 e 13853/08), relative ai reati previsti dagli artt. 648 cp e 171 ter, lett.c) e d), L. 633/41 (riproduzione abusiva di CD, contraffazione del contrassegno di SIAE e vendita dei suddetti beni privi del bollino de qua), nonchè una della CDA GE (n.13810/08) concernente l’illecita detenzione, al fine di porli in commercio, di supporti informatici riproducenti giochi per la “ play station” e files musicali in violazione della legge sulla protezione delle opere d’ingegno. I primi due ricorsi (13810 e 13816) sono stati accolti. Il terzo, invece, è stato respinto per un vizio processuale originario: la mancata indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento di ogni singolo capo d’impugnazione ex art.581, lett.c) cpp o la manifesta infondatezza di quelli non pertinenti alla sussistenza del reato impediscono, de facto, la valutazione di “… fatti sopravvenuti eventualmente più favorevoli al prevenuto non dedotti neppure genericamente nei motivi di ricorso e non relativi all’accertamento del fatto reato …”. Ciò comporta la declaratoria di inammissibilità genetica, considerata prevalente su quella di non punibilità ai sensi dell’art. 129 cpp (v.amplius pagg 3-4 motivazioni sopra citata sentenza; Cass. SS.UU. n.47164/03,2556/76, Cass. pen. nn.33542/01,32/00,11493/00 (Verga), e sez. II 06/05/03 Curcillo e 18/09/97 Ahemtovic).
In definitiva, si può affermare che la 13853/08 è più interessante per gli aspetti procedurali che per le questioni analizzate in questa sede.
Si noti, poi, come nelle tre citate sentenze venga fatto un capillare resoconto sia di tutte le normative, nazionali e comunitarie sulla protezione del diritto d’autore e della proprietà intellettuale che delle loro interdipendenze anche tra la nostra giurisprudenza e quella internazionale, la quali sono l’aspetto più interessante di questi provvedimenti.
Infatti, le sopra menzionate massime della Schwibbert sono state riprese e fatte proprie dai giudici italiani, condizionando, nel senso che si esplicherà fra poco, le loro scelte. Si osservi come, in genere, nel nostro ordinamento giuridico le sentenze (interne e tanto più quelle estere) non costituiscano un precedente vincolante (civil law), al contrario di quelle dei paesi anglosassoni (common law).Va dato atto, tuttavia, che il nostro sistema legale, pian piano, si sta omologando a quello d’oltremanica come dimostrato dalla sempre più rilevante funzione nomofilattica della S.C. e dall’obbligo posto a carico degli operatori del diritto di uniformarsi ai principi da essa enunciati (v. riforma del processo civile e della Cassazione del 2006).
Ritornando alla nostra “esegesi”, si ricordi anche l’ampia ricostruzione storica, svolta dal giudicante, dei presupposti che hanno portato la Corte di Giustizia a considerare il contrassegno SIAE una mera regola tecnica e, conseguentemente, ad escludere la contestazione a terzi di alcuni reati ex L .633/41 .
Infatti la SIAE, istituita dall’art.12 del regolamento per l’esecuzione della L.123/42 sulla tutela del diritto d’autore (RD n.1369/42) ha ” …un carattere meramente civilistico, perchè ha solo lo scopo di consentire all’autore di controllare il numero di esemplari venduti” ed il deposito delle opere presso questo ente ha la stessa funzione di pubblicità (v. cause di plagio) di quello effettuato presso un notaio.
La L.121/87 ha previsto l’imposizione del bollino, disciplinandone (v. anche successive modifiche) la forma, le dimensioni e le altre caratteristiche che lo connotano, stabilendo l’obbligo di apposizione sulle copie (inizialmente solo) di videocassette riproducenti opere cinematografiche (poi esteso anche a tutte gli altri lavori intellettuali contenuti su qualsiasi supporto) vendute o noleggiate, prevedendo pene severe per i trasgressori.
Successivi decreti legge hanno introdotto ex novo e disciplinato i reati di cui agli artt. 171 bis e 171 ter L.633/41 (v. per maggiori informazioni le motivazioni della n.13816/08 punto 4 ss).
Nelle more l’allora CEE emetteva i già menzionati pareri e direttive, per definizione inderogabili dal diritto nazionale di ciascun stato membro, tra cui la 83/139/CEE, emanata il 28/03/83, in vigore dal 31/03/83 (G.E.C.U L.109/83 del 26/04/83) recepita nel nostro paese dalla L.317/86. Essa istituiva un onere di dare contezza di tutte le regole tecniche introdotte nell’ordinamento nazionale ed era cogente per l’Italia, in quanto approvata da una legge di stato (v. CGCE n.93/01 e sez. V del 08/09/05 relativa all’impossibilità per il giudice interno di infliggere una sanzione amministrativa in caso di mancata osservanza di tale onere).
La S. C. n. 13810/08 chiarisce che: ” …. la procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di controllare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale …… L’inadempimento dell’obbligo di comunicazione costituisce un vizio procedurale sostanziale idoneo a comportare l’inapplicabilità delle regole tecniche ivi considerate. La disapplicazione opera anche se la regola tecnica sia contenuta in un atto avente forza di legge ed anche se la sua violazione sia punita come illecito. Invero la qualificazione della violazione della procedura d’informazione come vizio procedurale sostanziale incide inevitabilmente sulla procedura costituzionale di approvazione delle leggi nazionali, nel senso che, ove le medesime contengano una regola tecnica, per potere essere efficaci (quanto meno nei confronti dei soggetti comunitari) non devono soltanto essere adottate in conformità delle norme costituzionali sulla produzione normativa, ma devono altresì seguire la procedura comunitaria stabilita con regolamento o direttiva recepita ….”.
La 13816/08 estende questo onere anche ai “… contrassegni “facoltativi”, atteso che essi conservano la natura di “regola tecnica” soggetta al controllo della Commissione, con la conseguenza che, se lo Stato nazionale non ottempera all’obbligo di comunicazione, il contrassegno facoltativamente adottato dal titolare dei diritti non può essere fatto valere nei confronti degli altri soggetti privati …”.
Quindi la UE dovrà essere informata anche delle variazioni apportate a queste linee guida e l’inopponibilità conserverà la sua validità anche in caso di successive modifiche a queste leggi.
Vi sono però dei limiti alla ricezione delle regolamenti extranazionali.
Infatti il principio della prevalenza delle norme comunitarie su quelle nazionali e la sua applicazione ai precetti penali sono subordinati a quello di riserva di legge dello stato membro, sì che non potranno essere introdotti nuovi reati od aggravata la responsabilità di un soggetto, semmai si potrà ” … restringere l’ambito del penalmente rilevante ed introdurre nuove cause di giustificazione ….”.
Infinesi osservi come questa inopponibilità faccia venire meno i presupposti oggettivi dei reati previsti dagli artt. 171 bis e 171 ter lett. d), ma non quelli dell’art. 171 ter lett.c), poichè trova il suo fondamento esclusivamente nell’illecita riproduzione e distribuzione delle opere d’ingegno, esulando dall’apposizione del timbro SIAE. Si consideri come, per un mero ostacolo burocratico, rischiano di vanificarsi gli sforzi fatti dall’Italia per la lotta alla contraffazione ed alla pirateria, anche informatica (v.le inevitabili conseguenze che queste decisioni avranno sull’adozione della misura cautelare della confisca della merce falsificata), settori nei quali siamo all’avanguardia e si auspichi una pronta soluzione di questo problema o, per lo meno, l’introduzione di deroghe a queste direttive.
E’ chiaro che le sopra menzionate leggi europee costituiscano, in un certo qual senso, un limite all’autodeterminazione dell’Italia e che rischino, per quanto sopra esplicato, di essere un’indebita ingerenza nel nostro ordinamento sino a “snaturarlo”, facendolo diventare sempre più simile, con i dovuti distinguo, a quello anglosassone. Si spera, d’altro canto, che anche la nostra nazione provveda a comunicare questi dati sì da non dover lasciare impunito chi violi la proprietà intellettuale altrui.
Rinviando per tutte le altre tematiche sottese a quella esaminata alle relative citate sentenze, in estrema sintesi, oltre a quella sopra enunciata dalla Cass. n.13853/08, ufficiosamente si possono ricavare le seguenti massime: 1) è competente il giudice nazionale per risolvere le controversie circa l’applicazione di direttive UE nonchè le loro successive modifiche ed interpretazioni ; 2) dovrà essere assolto con formula piena ai sensi dell’art. 530 cpp, perchè “il fatto non costituisce reato”, chiunque sia imputato per i reati sopra indicati, relativi infatti a supporti privi del contrassegno, poichè, in concreto, viene a mancare un elemento materiale degli stessi; 3) restano punibili i reati aventi invece ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, non prevedendo come elemento essenziale tipico la mancanza del timbro SIAE (come il reato ex art. 171 ter, comma primo, lett. c). Tuttavia questa carenza può conservare valore indiziario, in quanto tali delitti trovano il loro fondamento nella illecita duplicazione e/o riproduzione di beni tutelati dalla legge sul diritto d’autore.

Giulia Milizia
Praticante avvocato abilitato al patrocinio, foro di Grosseto

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 2 aprile 2008 n. 13810

IN DIRITTO
All’odierna udienza il procuratore generale ha richiamato la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee dell’8 novembre del 2007, Schwibbert, resa a norma dell’articolo 234 del Trattato CEE per valutare eventualmente l’incidenza di tale decisione sulle fattispecie in discussione . E’ quindi doveroso da parte di questo collegio prendere in esame l’anzidetta decisione per stabilire se ed eventualmente in quale misura essa possa incidere sul ricorso in esame.
La sentenza ha per oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Forlì nel procedimento penale a carico di un imputato che doveva rispondere del reato previsto dall’art. 171 ter comma l lett. c) L. 633/1941 – prima della modifica apportata con la L. 248/2000 – per avere commercializzato CD (riproducenti opere di pittori) privi del contrassegno Siae.La questione concerneva la compatibilità della normativa nazionale su tale marchio con la direttiva europea 28 marzo 1983, 83/189/CEE, la quale aveva istituito nel diritto comunitario una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche. L’anzidetta direttiva è stata ripresa ed ampliata con le direttive 98/34 CE e 98/ 48 CE, anch’esse richiamate nella decisione della Corte di Lussemburgo in esame, recepite e rese esecutive in Italia con il decreto legislativo 23 novembre del 2000 n 427 recante ” Modifiche ed integrazioni alla legge 21 giugno 1986 n 317…” La legge richiamata era quella che aveva recepito ed attuato la direttiva 83/139 CEE. Trattandosi di direttive attuate e recepite con atto avente forza di legge nell’ordinamento dello Stato non sussistono dubbi sulla loro diretta applicabilità.
La procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di controllare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale.
Per quanto concerne l’Italia, la corte di Giustizia si era già occupata dell’omessa comunicazione di una regola tecnica con riferimento all’articolo 19 della legge 23 marzo del 2001 n 93 la quale vietata la vendita di bastoncini per la pulizia delle orecchie non fabbricati con materiale biodegradabile e puniva il divieto con sanzione amministrativa. In quella circostanza la Corte di Giustizia aveva statuito che è compito del giudice nazionale disapplicare una disposizione del diritto interno che costituisce una regola tecnica una volta accertato che essa non è stata notificata alla Commissione prima della sua adozione (cfr Corte di Giustizia sez V 8 settembre del 2005 Lidi Italia s.r.l.) e ciò perché l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione costituisce un vizio procedurale sostanziale idoneo a comportare l’inapplicabilità delle regole tecniche ivi considerate. La disapplicazione opera anche se la regola tecnica sia contenuta in un atto avente forza di legge ed anche se la sua violazione sia punita come illecito. Invero la qualificazione della violazione della procedura d’informazione come vizio procedurale sostanziale incide inevitabilmente sulla procedura costituzionale di approvazione delle leggi nazionali, nel senso che, ove le medesime contengano una regola tecnica,per potere essere efficaci (quanto meno nei confronti dei soggetti comunitari) non devono soltanto essere adottate in conformità delle norme costituzionali sulla produzione normativa, ma devono altresì seguire la procedura comunitaria stabilita con regolamento o direttiva recepita.
La Corte di Giustizia nella decisione richiamata dal procuratore generale ha incluso la normativa che stabilisce l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae nel novero delle regole tecniche per le quali è quindi prevista la procedura d’informazione.
La Corte ha precisato che l’individuazione del momento in cui l’obbligo di apposizione è stato introdotto nella normativa italiana appartiene alla competenza del giudice nazionale.
Di conseguenza, spetta a questa Corte dare risposta ai quesiti sopra prospettati sui rapporti cronologici tra normativa statale e direttiva CEE e sulla effettuazione della notifica della regola tecnica alla Commissione delle Comunità europee.
Ora la prima disposizione del diritto italiano che ha introdotto il contrassegno Siae risale al regolamento per l’esecuzione della legge sul diritto di autore (RD 1369/1941) e, riferita alle sole opere a stampa,aveva lo scopo di controllare gli esemplari venduti. Successivamente la funzione del contrassegno assume natura pubblicistica e diventa strumentale alla verifica della originalità del prodotto. La mancanza del bollino Siae, nei casi in cui l’apposizione è prevista, viene sanzionata penalmente.
La prima disposizione che ha introdotto come ipotesi di reato la vendita ed il noleggio di videocassette riproducenti opere cinematografiche non contrassegnate dalla società italiana degli autori ed editori é costituita dalla legge n 121 del 1987. Indi, il DLvo 518/1992 ( modificato dalla L.248/2000) ha inserito, nel corpo della L.633/1941, l’art. 171 bis che, nella sua attuale formulazione, punisce chi abusivamente duplica programmi per elaboratori o li commercializza o li riproduce in supporti privi del contrassegno Siae. Inoltre, la legge 248/2000 ( modificatrice della L. 685/1994) ha esteso la previsione della legge n 121/1987 a chi vende, noleggia videocassette, musicassette od altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento non timbrate dalla Siae.
Infine con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’ 11 luglio 2001, n. 238 è stato introdotto il Regolamento di esecuzione delle disposizioni relative al contrassegno della Società italiana degli autori e degli editori (Siae), di cui all’art. 181 bis della L 633/1941, con cui si disciplinano, tra l’altro, le caratteristiche del timbro da apporre sui supporti.
Così sintetizzata la disciplina in materia, si rileva che l’obbligo di apposizione del contrassegno riguardava nel regolamento del 1942 solo i libri e che le modifiche legislative introdotte in epoca successiva non possono considerarsi semplici adeguamenti necessari per i progressi tecnologici. Per i supporti non cartacei, l’obbligo di apposizione è posteriore alla istituzione, in virtù della direttiva 83/189, della procedura di informazione : in ogni caso, un dovere di nuova notifica conseguiva , a norma dell’art. 8 della direttiva 98/34, alla modifica apportata al progetto di regola tecnica ed alla inclusione di inediti supporti nello ambito dell’ obbligo originario di apposizione del contrassegno.
Inoltre risulta, dalle stesse difese della Siae nella causa avanti la Corte di Giustizia, che nessuna notifica è stata effettuata a sensi della direttiva 83/189 e successive modificazioni.
Pertanto, si deve rilevare che – per i supporti non cartacei- si sono verificate le due condizioni che, secondo i Giudici di Lussemburgo, rendono inopponibile ai privati operanti nell’ambito comunitario l’obbligo del contrassegno Siae. Questo Collegio deve attenersi alla conclusione vincolante resa dalla Corte di Giustizia che ha il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario di cui definisce autoritariamente il significato con la conseguenza che una sentenza interpretativa di una norma si incorpora nella stessa e ne integra il precetto con immediata efficacia (v. per tutte sentenze Corte Cost 13/1985, 389/1989, 168/1991 ; Cass sez III 1,7,1999 n 9983, Valentini). Ai sensi dell’art. 164 del Trattato CE l’interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri anche ultra partes.
Come già accennato il principio di non applicazione opera anche nel caso in cui la regola tecnica sia contenuta in una norma penale. Il principio di prevalenza e la diretta efficacia del diritto comunitario comportano come ineludibile conseguenza che i precetti penali, per i quali vige il principio di riserva di legge statale, siano influenzabili, pur indirettamente, dalla normativa sovranazionale con funzione mitigatrice nel senso che questa non può creare nuove ipotesi di reato o aggravare la responsabilità di un soggetto, ma può restringere l’ambito del penalmente rilevante e introdurre nuove cause di giustificazione ; ad esempio, non può essere addebitabile ad un agente un comportamento conforme alle prescrizioni comunitarie o negato un diritto di libertà sancito dai trattati.
In esito alla decisione della Corte di Lussemburgo, il giudice nazionale deve disapplicare – fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica- la regola interna che impone l’obbligo di apporre sui supporti il marchio Siae in vista della loro commercializzazione.
In tale modo, viene vanificata la rilevanza penale di tutte le fattispecie di reato che includono come elemento costitutivo della condotta tipica il contrassegno Siae con inevitabile influenza anche sulle disposizioni che regolano la misura patrimoniale della confisca.
Ritiene il Collegio che le conclusioni della Corte di Giustizia incidano su tutte le disposizioni normative che, successivamente alla entrata in vigore della direttiva 83/98 CEE, hanno introdotto la necessità del timbro Siae per le varie tipologie di supporti.
Sul punto, si deve osservare come la decisione in esame sia limitata all’ oggetto della causa principale (detenzione di CD contenenti opere di arti figurative), ma il Collegio ritiene che le conclusioni debbano applicarsi a tutte le ipotesi di disposizioni normative che hanno introdotto la necessità del timbro Siae ai nuovi tipi di supporto. Anche in questi casi, è riscontrabile un vizio di adozione delle norme tecniche, per la mancanza della procedura di informazione, e sono di attualità le argomentazioni della Corte di Giustizia. Esse debbono coerentemente estendersi a tutte le norme della legge sul diritto di autore che sanzionano penalmente la carenza del contrassegno Siae sui supporti non cartacei.Va chiarito però che la decisione della Corte di Giustizia riguarda esclusivamente le disposizioni della L.633/1941 come successivamente modificata, che contemplano l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae. La sentenza non incide dunque sulla tutela del diritto d’autore in quanto tale ed, in particolare, sui diritti riconosciuti a difesa della personalità dell’autore o su quelli relativi alla utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno.
Era ed è vietata, infatti, anche dopo la sentenza, qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere dell’ingegno. Né potrebbe essere altrimenti posto che la funzione istituzionale della Siae rimane comunque circoscritta alla sola attività di intermediazione per la gestione dei diritti d’autore.
Occorre ora stabilire in concreto entro quali limiti la sentenza della Corte di Giustizia possa influire sulla assoggettabilità a sanzione penale delle ipotesi di reato disciplinate dalla legge sul diritto di autore; le fattispecie della L.633/1941 che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno Siae sono gli artt. 171 bis comma 1 e comma 2, l’artt. 171 ter comma 1 lett.d (lett.c prima della novazione introdotta con la L.248/2000). Nel caso in cui la condotta contestata riguardi esclusivamente l’apposizione del marchio Siae, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata. Si tratta ora di individuare tra le diverse formule di proscioglimento di cui all’articolo 530 c.p.p. quella pii” aderente al caso concreto. Questa sezione in una fattispecie analoga , riguardante altra materia, nella sentenza n 99983 del 1999 già citata, ha utilizzato la formula ” perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”. Sotto la locuzione “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, che non era contenuta nell’articolo 479 del previgente codice di rito, vanno sussunte le ipotesi in cui il fatto non corrisponde ad una fattispecie incriminatrice. L’irrilevanza penale del fatto può dipendere o da una sua mancata previsione normativa o da una successiva abrogazione della norma o dalla dichiarazione di incostituzionalità della previsione normativa. L’anzidetta formula non esclude la possibilità che il fatto penalmente irrilevante possa assumere rilievo in sede civile. La formula assolutoria perché il fatto non sussiste viene adottata, invece, quando manca un elemento costitutivo del reato. Tale formula escludendo il fatto rileva anche in sede diversa da quella penale La formula anzidetta è più liberatoria perché esclude non solo l’illiceità penale ma la stessa sussistenza del fatto. Questo collegio ritiene corretta la formula perché il fatto non sussiste perché la disapplicazione, incidendo sull’efficacia della norma, produce i suoi effetti in tutti i settori dell’ordinamento e quindi esclude qualsiasi rilevanza anche extrapenale al fatto mentre la formula “perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato” non pregiudica l’eventuale rilevanza extrapenale del fatto e, quindi, non è perfettamente aderente alla fattispecie disapplicativa che esclude qualsiasi rilevanza al fatto.
Dalla decisione della Corte di Giustizia deriva, infatti, che non esiste, in assenza della prescritta comunicazione, il dovere di applicare il contrassegno e, quindi, il comportamento tenuto dal soggetto è considerato tanquam non esset.
A proposito del contrassegno si deve rilevare che nella prassi sovente si fa riferimento alla sua mancanza, non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla contraffazione sostanziale , ma solo per evidenziare che la mancanza del contrassegno costituisce la riprova dell’illecita duplicazione. In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma perché il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione.
L’ inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere da solo, in carenza di altre emergenze, la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta. La riprova è costituita proprio dal fatto sottoposto all’esame della Corte di Giustizia delle Comunità Europea in esame. Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee ad un cittadino comunitario si era contestata l’illecita duplicazione sulla base della sola mancanza del contrassegno e l’accusato aveva dimostrato che era munito della relativa autorizzazione alla riproduzione.
Fatta questa premessa si deve osservare che la sentenza della corte di Giustizia in esame non ha avuto alcuna rilevanza nella fattispecie concreta perché il reato contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno, ma la messa in commercio di supporti illegittimamente duplicati.
Tuttavia si deve rilevare che il reato si è estinto per prescrizione essendo maturato alla data del 16 giugno del 2007 il termine massimo di anni sette e mesi sei . Il ricorso non è manifestamente infondato perché manca la motivazione sulla concessione della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 c.p. Siffatta circostanza è configurabile anche con riferimento al delitto di cui all’art. 171-ter lettera c) della legge 22 aprile 1941 n. 633 (abusiva duplicazione, riproduzione, vendita, cessione o noleggio di opere destinate al circuito cinematografico o televisivo, dischi, musicassette, videocassette e simili) qualora ricorrano simultaneamente la condizione del perseguimento (o del conseguimento), da parte dell’autore del reato, di un lucro di speciale tenuità e quella della produzione, a detrimento della parte offesa, di un evento dannoso o di una situazione di pericolo, entrambi di speciale tenuità. A tal fine il giudice è chiamato a verificare in
concreto il presupposto della speciale tenuità e la sua valutazione è censurabile in sede di legittimità solo per mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
A norma dell’articolo 171 sexies legge n 633 del 1941 va disposta la confisca del materiale sequestrato trattandosi di confisca obbligatoria in quanto si è accertata l’illegittima duplicazione (Cass n 319 del 2006).
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l’articolo 620 c.p.p.
Annulla
senza rinvio la sentenza impugnata perché estinto per prescrizione il reato ascritto
Ordina la confisca degli oggetti in sequestro
Così deciso in Roma il 12 febbraio del 2008‑
Il consigliere estensore Il Presidente
Ciro Petti Ernesto Lupo

C. Cass. Sentenza n. 13816 del 2 aprile 2008
(Sezione Terza Penale, Presidente E. Lupo, Relatore P. Onorato)

Fatto e diritto
1 — Con sentenza dei 29.5.2007 la corte d’appello di Palermo, parzialmente riformando quella resa il 10.3.2006 dal locale tribunale monocratico, ha assolto S. V. dal delitto di cui all’art. 648 c.p. (riqualificato ai sensi dell’art. 16 della legge 248/2000) perché il fatto non era più previsto come reato, e ha condannato lo stesso V. alla pena complessiva di un anno e quattro mesi di reclusione ed euro 4.000 di multa, siccome colpevole dei residui reati di cui all’art. 171 ter lett. c) legge 633/1941 (per aver detenuto a fini commerciali n. 207 musicassette e n. 264 CD musicali abusivamente riprodotti) e all’art. 171 ter lett. d) legge 633/1941 (per aver detenuto per la vendita i predetti supporti musicali privi del contrassegno SIAE): accertati in Palermo il 10 maggio e il 14 giugno 2001.

2 – Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo:
2.1 – erronea applicazione dell’art. 81 cpv. c.p. e dell’art. 171 ter lett. c) e d) legge 633/1941, giacché, per rispettare il principio del ne bis in idem sostanziale, il V. avrebbe dovuto essere condannato soltanto per la detenzione di supporti privi del contrassegno SIAE, e non anche per la detenzione di supporti abusivamente riprodotti;
2.2 – erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p.p., in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla quantificazione della pena.
3 – In relazione al primo motivo di ricorso (n. 2.1) occorre anzitutto rilevare d’ufficio che è nel frattempo intervenuta la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea in data 8.11.2007, nel procedimento C-20/05, Schwibbert, secondo la quale, dopo l’entrata in vigore della direttiva europea 83/189/CEE, che ha previsto una procedura di informazione comunitaria nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno SIAE in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituisce una “regola tecnica” che, qualora non sia stata notificata alla Commissione della Comunità europea, non può essere fatta valere nei confronti di un privato.
La procedura di comunicazione comunitaria ha poi subito varie modifiche, sino ad essere codificata con la direttiva 98/34/CEE, i cui articoli 8 e 9 impongono agli Stati membri di notificare alla Commissione della Comunità europea i progetti di regole tecniche e di sospenderne momentaneamente l’adozione, al fine di consentire alla Commissione di verificarne la compatibilità col diritto comunitario e segnatamente col principio di libera circolazione delle merci. Questa direttiva ha anche confermato il significato di “regola tecnica”, definita come requisito di un prodotto la cui osservanza è obbligatoria, de jure o de facto, per la sua commercializzazione.
La pronuncia della corte lussemburghese è destinata ad avere un notevole impatto in materia di tutela penale del diritto d’autore, giacché, in sostanza:
a) inquadra l’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE nell’ambito delle “regole tecniche” che, dopo l’entrata in vigore della predetta direttiva 83/189/CEE, devono essere comunicate alla Commissione europea, al fine di consentirle di verificarne la compatibilità col principio comunitario di libera circolazione delle merci e di promuovere eventualmente l’armonizzazione delle regole tecniche nazionali;
b) nonostante si riferisca specificamente ai contrassegni relativi a compact discs contenenti riproduzioni di opere d’arte figurativa, stabilisce un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione del contrassegno SIAE successiva alla data suddetta, per supporti di ogni specie (cartaceo, magnetico, plastico, etc.) e di ogni contenuto (musicale, letterario, figurativo, etc.), rende inapplicabile contro i privati l’obbligo del contrassegno stesso;
c) per conseguenza, incide sulla integrazione di tutte quelle fattispecie penali in cui la mancanza del contrassegno SIAE (se istituito dopo l’entrata in vigore della direttiva 83/189/CEE e non comunicato alla Commissione europea) è tipicamente prevista come elemento essenziale del reato, ovverosia di tutte quelle fattispecie in cui la condotta tipica ha per oggetto materiale supporti privi del contrassegno SIAE.
Va solo precisato al riguardo che la sentenza in parola considera implicitamente la norma della direttiva europea 83/189/CEE, impositiva dell’obbligo di comunicare la regola tecnica, come norma comunitaria “ad effetto diretto”, in quanto contenente disposizioni precise e determinate, tali che la loro applicazione non è condizionata dalla necessità di ulteriori interventi normativi delle autorità nazionali. Altrimenti, la sentenza non avrebbe fatto discendere direttamente a favore dei soggetti privati 1′ inapplicabilità della regola tecnica, e in particolare dell’obbligo del contrassegno, dal momento dell’entrata in vigore della direttiva stessa; ma avrebbe differito questa efficacia al momento della trasposizione nazionale della direttiva. Infatti — come ha precisato la costante giurisprudenza comunitaria — la direttiva ad effetto diretto, non solo crea un obbligo di ogni Stato membro nei confronti delle istituzioni comunitarie, ma istituisce anche immediatamente un diritto dei singoli cittadini europei nei confronti dello Stato di appartenenza, indipendentemente dalla trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale.
Nella soggetta materia, la ripetuta direttiva 83/189/CEE, emanata in data 28.3.1983, entrata in vigore il 31.3.1983 (e pubblicata nella G.E.C.U. del 26.4.1983, n. L 109), è stata recepita in Italia con legge 21.6.1986 n. 317 (dopo il termine annuale di recepimento scadente il 28.3.1984). Per conseguenza, l’obbligo imposto dalla direttiva di comunicare alla Commissione europea le regole tecniche introdotte nell’ordinamento nazionale, vale per tutte quelle regole istituite dopo il 31.3.1983, e non solo per quelle istituite dopo l’entrata in vigore della legge nazionale di recepimento del 21.6.1986.
4 — Tanto premesso, occorre considerare che l’obbligo del contrassegno SIAE è stato introdotto nell’ordinamento italiano con l’art. 12 del Regolamento per l’esecuzione della legge sul diritto d’autore, emanato con R.D 18.5.1942 n. 1369, che ha dato attuazione all’art. 123 della legge. Ma esso riguarda solo le opere a stampa (a meno che l’autore non provveda direttamente a contrassegnare con la propria firma autografa ogni esemplare stampato della sua opera) e possiede un carattere meramente civilistico, perché ha il solo scopo di consentire all’autore di controllare il numero degli esemplari venduti.
Solo con l’art. 2 del D.L. 26.1.1987 n. 9, convertito in legge 27.3.1987 n. 121, il legislatore ha previsto l’obbligo del contrassegno SIAE per le videocassette riproducenti opere cinematografiche, e ha punito come delitto la vendita o il noleggio di tali videocassette prive del contrassegno.
In seguito, con il D.Lgs. 29.12.1992 n. 518 è stato introdotto l’art. 171 bis della legge 633/1941, che punisce l’abusiva duplicazione di programmi per elaboratore (software) e prevede una pena più grave se il programma abusivamente duplicato sia stato precedentemente distribuito, venduto o concesso in locazione su supporti contrassegnati dalla SIAE. Altrettanto ha disposto il D.Lgs. 6.5.1999 n. 169, che ha aggiunto all’art. 171 bis il comma 1 bis, col quale si punisce l’abusiva riproduzione o utilizzazione del contenuto di una banca dati, prevedendo una pena più grave se la banca dati abusivamente utilizzata sia stata precedentemente distribuita, venduta o concessa in locazione su supporti contrassegnati dalla SIAE. In tal modo il legislatore, limitatamente ai predetti supporti, sembra trasformare il regime del contrassegno da obbligatorio a facoltativo, affidando al titolare dei diritti la scelta di servirsi o meno del contrassegno al fine di ottenere una tutela penale aggravata nei confronti del contraffattore. Ma resta indubbio che l’obbligo di comunicazione alla Commissione europea si applica anche per i contrassegni “facoltativi”, atteso che essi conservano la natura di “regola tecnica” soggetta al controllo della Commissione, con la conseguenza che, se lo Stato nazionale non ottempera all’obbligo di comunicazione, il contrassegno facoltativamente adottato dal titolare dei diritti non può essere fatto valere nei confronti degli altri soggetti privati.
Solo con la legge 18.8.2000 n. 248, il legislatore, evidentemente raccogliendo le critiche mosse sul punto dalla dottrina, ha modificato l’art. 171 bis, eliminando il doppio regime ivi previsto, ma aumentando la sanzione penale per l’illecita utilizzazione di programmi per elaboratore o di banche dati non contrassegnati dalla SIAE.
Sempre negli anni ’90 il D.Lgs. 16.11.1994 n. 685 ha ampliato ulteriormente, con tecnica normativa esasperatamente casistica, l’ambito dei supporti tutelati con contrassegno, introducendo per la prima volta nel corpo della legge 633/1941 l’art. 171 ter, che punisce (con la lett. c) del primo comma) la vendita e il noleggio di videocassette, musicassette o di altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, non contrassegnati dalla SIAE.
Si completa così il mutamento di funzione del contrassegno SIAE, che da istituto civilistico assume anche una funzione chiaramente pubblicistica, che consiste nella garanzia della originalità e genuinità dei prodotti tutelati, e che è penalmente presidiata.
Evidentemente, per i supporti non cartacei che l’evoluzione tecnologica immetteva nel mercato non poteva valere la disciplina dell’art. 12 del R.D. 18.5.1942 n. 1369, che riguardava soltanto i contrassegni sulle opere a stampa. In mancanza di un apposito regolamento, la materia viene disciplinata da specifici accordi stipulati tra la S.I.A.E. e le associazioni di categoria interessate, con lo scopo preciso di regolare in maniera uniforme l’apposizione del contrassegno sui nuovi supporti, come segno distintivo dell’opera dell’ ingegno.
Questi accordi sono stati implicitamente riconosciuti dal legislatore con le leggi sopra citate. Sino a che lo stesso legislatore ha sentito il bisogno di intervenire espressamente sulla materia con l’art. 10 della legge 18.8.2000 n. 248, che ha introdotto l’art. 181 bis nel corpo della legge 633/1941.
Secondo questo articolo, la SIAE appone un contrassegno su ogni supporto contenente programmi per elaboratore o multimediali, nonché su ogni supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento, che reca la fissazione di opere tutelate, sempre che detti supporti siano destinati a essere posti in commercio o ceduti a qualunque titolo a fini di lucro. Solo per supporti contenenti programmi per elaboratore il contrassegno, a determinate condizioni, può essere sostituito da dichiarazioni identificative che produttori e importatori preventivamente rendono alla SIAE.
E’ evidente in questa nuova disciplina la volontà legislativa di colmare la lacuna lasciata dall’art. 123 della legge 633/1941 e dall’art. 12 del relativo regolamento esecutivo, dettando le regole essenziali per contrassegnare tutti i supporti diversi da quelli cartacei, che enumera partitamente in base al loro contenuto (software, programmi multimediali, suoni, voci o immagini in movimento).
Il contrassegno deve indicare un numero progressivo; deve contenere elementi tali da permettere l’identificazione del titolo dell’opera, dell’autore e del produttore; infine deve avere caratteristiche tali da non potere essere trasferito da un supporto all’altro. Finalmente, con D.P.C.M. 11.7.2001 n. 338, sentite la S.I.A.E. e le associazioni di categoria interessate, è stato emanato il regolamento esecutivo dell’art. 181 bis, che deve essere applicato per tutti i supporti non cartacei prodotti successivamente all’entrata in vigore della predetta legge 18.8.2000 n. 248, mentre i supporti non cartacei prodotti precedentemente sono considerati legittimamente circolanti purché conformi alla disciplina previgente (art. 1). Il decreto, che è stato successivamente modificato con D.P.C.M. 25.10.2002 n. 296, prevede espressamente che il contrassegno sia rilasciato dalla S.I.A.E. su richiesta degli interessati (art. 4); e dispone che il contrassegno venga applicato in modo visibile sulla confezione del supporto, a meno che, per le esigenze di commercializzazione di taluni prodotti, la S.I.A.E. autorizzi l’apposizione sull’involucro esterno della confezione (art. 3).
Da quanto precede è evidente che la “regola tecnica” prevista sin dal 1942 per i supporti cartacei (cioè per le opere pubblicate a mezzo stampa) non è la stessa applicata, di fatto e di diritto, per gli altri supporti di tipo magnetico, plastico, etc. (nastri, cassette, dischi e simili), differendo necessariamente i relativi contrassegni per modalità di applicazione e per caratteristiche intrinseche.
Si può a questo punto comprendere perché non rilevi sul presente thema decidendum il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, con sent. n. 2 del 19.1.2000, Ciccone, rv. 215092, secondo cui il regolamento di esecuzione richiamato dall’art. 171 ter, lett. c), della legge 633/1941, nel testo introdotto dal Digs. 16.11.1994 n. 685 (ma poi modificato dalla legge 18.8.2000 n. 248):è quello approvato con R.D. 18.5.1942 n. 1369, con la conseguenza che, anche in mancanza di uno specifico regolamento esecutivo del D.Lgs. 685/1994, resta penalmente sanzionata l’illecita immissione nel mercato di supporti non contrassegnati dalla SIAE.
Questo principio, infatti, tendeva propriamente ad affermare la persistente configurabilità del nuovo reato, nella implicita considerazione che la fattispecie era sufficientemente determinata anche prima che venisse emanato uno specifico regolamento per i nuovi supporti non cartacei. Ma non arrivava, e non poteva arrivare, ad affermare che il regolamento del 1942 per i supporti cartacei, ai fini della procedura comunitaria di notificazione, è equipollente o sovrapponibile all’emanando (e poi emanato) regolamento per i supporti non cartacei. In altri termini, seguendo la sentenza Ciccone, si può dire in linea generale che il reato di messa in commercio di supporti non cartacei privi del contrassegno SIAE è configurabile anche per i fatti commessi quando non esisteva una specifica disposizione regolamentare; ma non si può sostenere (dopo la sentenza Schwibbert) che questo reato sussiste anche nei casi in cui il contrassegno, istituito dopo il 31.3.1983, non sia stato regolarmente comunicato alla Commissione europea.
Concludendo sul punto, tenendo presente anche il dictum delle Sezioni unite, sembra doversi affermare che:
a) per i contrassegni relativi ai supporti cartacei si applica la disciplina regolamentare di cui all’art. 12 del R.D. 18.5.1942 n. 1369;
b) per i contrassegni relativi ai supporti non cartacei prodotti prima della entrata in vigore della legge 18.8.2000 n. 248 (cioè prima del 19.9.2000) si applica la disciplina derivante dagli accordi stipulati tra la S.I.A.E. e le associazioni di categoria interessate, implicitamente riconosciuti dal D.L. 26.1.1987 n. 9, convertito in legge 27.3.1987 n. 121, dal D.Lgs. 29.12.1992 n. 518, dal D.Lgs. 16.11.1994 n. 685 e dal D.Lgs. 6.5.1999 n. 169, sopra citati;
c) per i contrassegni relativi ai supporti non cartacei prodotti dalla predetta data del 19.9.2000. si applica la disciplina introdotta dall’art. 181 bis legge 633/1941 e dal relativo regolamento esecutivo di cui al D.P.C.M. 11.7.2001 n. 338 e succ. mod..
5 — In relazione alla fattispecie dedotta nel presente processo, resta quindi da verificare se la previsione del contrassegno sulle musicassette e sui compact discs musicali sia stata introdotta nell’ordinamento italiano dopo la menzionata data del 31.3.1983, con la conseguenza che, in caso positivo, doveva essere notificata alla Commissione europea. Come ha precisato la stessa sentenza Schwibbert, questo accertamento, avendo per oggetto una norma di diritto interno, spetta naturalmente al giudice nazionale e non alla Corte di Giustizia europea (nn. 23 e 40).
Al riguardo non può condividersi la tesi sostenuta dal Governo italiano e dalla SIAE davanti alla Corte lussemburghese (che peraltro l’ha incidentalmente respinta, con l’obiter dictum di cui al n. 40 della sentenza), secondo cui il contrassegno sulle opere dell’ingegno era stato istituito ben prima della data suddetta, con la legge 633 del 1941 e con il relativo regolamento del 1942, mentre le modifiche legislative apportate nel 1987 e nel 1994 non costituivano altro che semplici adeguamenti ai progressi tecnologici intervenuti nel frattempo nella produzione dei supporti (n. 39 della sentenza Schwibbert).
Invero, gli artt. 123 della legge 633/1941 e 12 del R.D. 18.5.1942 n. 1369 — come già osservato — disciplinano soltanto il contrassegno sui supporti cartacei (stampa) delle opere dell’ingegno di qualsiasi tipo (letterario, musicale, figurativo etc.), prevedendo l’obbligo delle associazione degli editori di apporlo su ogni esemplare attraverso la SIAE, salvo che l’autore non provveda direttamente a contrassegnare ciascun esemplare con la propria firma autografa. E’ evidente, però, che la “regola tecnica” cambia essenzialmente — e quindi deve essere nuovamente sottoposta al vaglio della Commissione — quando il supporto da cartaceo diventa magnetico, plastico o di altro materiale, e quando cambia anche la tecnica di fissazione dell’opera nel supporto stesso (stampa, fonoregistrazione, videoregistrazione, etc.).
Dalle considerazioni già svolte nel paragrafo precedente risulta evidente che la “regola tecnica” prevista sin dal 1942 per i supporti cartacei (cioè per le opere pubblicate a mezzo stampa) non è la stessa applicata, di fatto e di diritto, per gli altri supporti di tipo magnetico, plastico, etc. (nastri, cassette, dischi e simili), differendo necessariamente i relativi contrassegni per modalità di applicazione e per caratteristiche intrinseche.
Orbene, come già osservato, la prima legge nazionale che menziona il contrassegno per i supporti contenenti fonogrammi, videogrammi o sequenze di immagini in movimento, è il D.Lgs. n. 685 del 16.11.1994, che, con l’art. 17, ha introdotto per la prima volta l’art. 171 ter nel testo della legge sul diritto d’autore.
Questo contrassegno, prima della legge 18.8.2000 n. 248 era regolato di fatto dalla prassi instaurata dalla SIAE sulla base delle convenzioni stipulate con le categorie di settore, e legislativamente riconosciuta; dopo la legge 18.8.2000 n. 248 è regolato dal più volte ripetuto art. 181 bis e dal relativo regolamento di esecuzione. Per conseguenza, in quanto disciplinato da norme comunque successive alla più volte menzionata data del 31.3.1983, questo tipo di contrassegno doveva essere previamente comunicato alla Commissione della Comunità europea. Poiché notoriamente non è stato comunicato, non può essere fatto valere nei confronti dei privati.
Si può aggiungere per completezza che, dopo la sentenza Schwibbert, ogni qual volta il contrassegno SIAE sia configurato come elemento negativo della fattispecie penale (ovverosia ogni volta che la mancanza del contrassegno obbligatorio sia prevista fra gli elementi tipici del reato), spetta al pubblico ministero la prova che la previsione del contrassegno sia anteriore alla data del 31.3.1983, ovvero che — se posteriore a quella data — sia stata regolarmente comunicata alla Commissione europea.
In difetto di questa prova, infatti, l’obbligo (o la facoltà nel senso anzidetto) del contrassegno non è valevole nei confronti dell’imputato, sicché questo non può essere condannato. Più esattamente, in questo caso, il fatto tipico descritto nella norma continua a essere preveduto come reato, ma in concreto viene a mancare un suo elemento materiale (cioè l’inottemperanza a un obbligo di contrassegno, che non esiste validamente come obbligo), sicché la formula di assoluzione è che il fatto non sussiste. In altri termini, tipicamente continua a essere previsto come reato l’uso illecito di supporti privi di contrassegni SIAE che siano validi secondo il diritto comunitario; in concreto, il fatto di reato non sussiste quando i contrassegni SIAE mancanti non sono validi sotto il profilo comunitario.
6 — A questo punto è possibile completare il percorso argomentativo imposto dalla sentenza Schwibbert, osservando che tra le fattispecie penali in cui il contrassegno è previsto come elemento negativo rientra quella di cui all’art. 171 ter lett. d) legge 633/1941 (nel testo modificato dalla legge 18.8.2000 n. 248), che appunto punisce chiunque detiene per la vendita supporti musicali, o audiovisivi, cinematografici etc. privi del contrassegno della SIAE.
Tra le stesse fattispecie non rientra invece quella di cui all’art. 171 ter lett. c) legge 633/1941 (nel testo modificato dalla legge 18.8.2000 n. 248), appunto perché non prevede come elemento essenziale tipico la mancanza del contrassegno in parola, ma punisce soltanto chiunque detiene a fini commerciali supporti illecitamente duplicati o riprodotti, pur non avendo concorso alla duplicazione o riproduzione.
In quest’ultimo caso, insomma, la mancanza del contrassegno può essere semmai valutata come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, ma non assurge al ruolo di elemento costitutivo della condotta. In quanto indizio, dovrà essere confortato da altri elementi indiziari gravi e concordanti, per assumere valenza probatoria. Da sola, invece, quella mancanza di contrassegno, non può valere come mezzo di prova della illecita duplicazione o riproduzione, giacché altrimenti si continuerebbere a dare al contrassegno quel suo valore essenziale di garanzia della originalità e autenticità dell’opera, che invece non ha acquisito nei confronti dei soggetti privati per effetto della mancata comunicazione alla Commissione europea.
Ne deriva per il caso di specie, riguardante la detenzione a fini commerciali di musicassette e CD musicali, che la impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 171 ter lett. d) legge 633/1941, per insussistenza del fatto.
In conclusione, viene meno la ragione della prima doglianza difensiva (n. 2.1), che lamenta violazione del ne bis in idem sostanziale, considerato appunto che per il reato di cui alla predetta lett. d) si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, mentre per il residuo reato di cui alla predetta lett. c) si impone la riduzione della pena inflitta alla reclusione di un anno e tre mesi di reclusione ed euro 3.500 di multa, una volta eliminato l’aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di cui alla predetta lett. d), determinato dalla corte di merito nella misura di un mese di reclusione ed euro 500 di multa.
E’ infatti inammissibile per manifesta infondatezza l’ultima doglianza in ordine alla quantificazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche (n. 2.2), giacché la corte di merito ha motivato su entrambi i punti in modo esauriente e legittimo, valorizzando i molteplici e specifici precedenti penali dell’imputato come ostativi a un trattamento sanzionatorio più favorevole.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 171 ter lett. d) della legge 633/1941 perché il fatto non sussiste, ed elimina la relativa pena di un mese di reclusione ed euro 500 di multa; rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma il 12.2.2008.

Il presidente
Ernesto Lupo

Il consigliere estensore
Pierluigi Onorato
Cassazione Sentenza n. 13816 del 2 aprile 2008
(Sezione Terza Penale, Presidente E. Lupo, Relatore P. Onorato)
Qui, nel sito della Cassazione, il testo completo: http://www.cortedicassazione.it/Documenti/13816.pdf

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