I macroerrori della Rai, che pretende la partita Iva dai suoi collaboratori occasionali. E i Comuni pretendono l’Irap (già Iciap)benché la legge escluda i collaboratori dall’Irap

L’Usigrai ritiene di dover fare qualcosa perché la Rai cambi? Il Sigim ritiene di doversi muovere in difesa dei colleghi deboli?


dalla newsletter di Franco Abruzzo.it

Egregio Abruzzo, leggo puntualmente le sue emaile, sono stato per nove anni nel direttivo del sindacto giornalisti delle Marche.

Ho chiesto il rimborso Iciap perché “Collaboratore di giornali”, ma il Comune non risponde, trincerandosi dietro le due sentenze Ctp che non confermano l’imposizione. Ho pagato l’Iciap (ora Irap) per 973 mila lire, in euro 562,67 in seguito a ruolo esattoriale e dopo due sentenze CTP di Pesaro che chiedono “la prova”, a fronte di una fatturazione di circa 700 mila lire l’anno e nonostante esista la sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 21 maggio 2001 che la esclude per mancanza di “presupposto d’imposta” per chi non ha mezzi organizzati di lavoro. Il danno é di 5 anni di mancato lavoro con la Rai come conseguenza della tassazione illegittima. Ora ho riaperto la partita Iva ai sensi dell’art. 32 bis Dpr 633/1992 per contribuenti minimi.

La collaborazione non é stata effettuata in attività d’impresa, perché pensionato Inpdap, 62 anni, disabile. La tassazione riguarda gli anni 1993, 94 e 95 , ma non sono stati poi accertati gli anni precedenti e susseguenti, tenuto conto della partita Iva che ho usato perché la Rai, “sbagliando”, l’ha pretesa. Sono stato “informatore Rai” per le Marche alla quale ho fatturato con Iva i sempre esigui compensi, pari a 700 mila lire di media l’anno. Al Comune é stata fornita tutta la normativa di riferimento, ma non basta, oltre ad una direttiva della Intendenza di Finanza di Pesaro del 1992 che ha cassato la pretesa di un comune nei confronti di un collaboratore analogo con la motivazione: “I collaboratori di giornali, in aderenza alla disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 5 sull’Iva, restano fuori dal campo di applicazione dell’Iciap anche se in possesso della partita Iva, in quanto la Rai sbagliando esige la partita Iva anche dagli occasionali”. La circolare del Ministero delle finanze 14 giugno 1989 numero 5 (prot. 7/A/341 -Presupposto dell’imposta – istruzioni ministeriali) esclude la tassazione Iciap ai “collaboratori di giornali” nonché la classificazione d’impresa. Cosa é possibile fare e ulteriormente dire? Cordialità,

Vincenzetti Claudio, giornalista pubblicista

RISPOSTA

Il punto focale è il presupposto dell’imposta, ovvero l’esercizio abituale di un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. La Corte Costituzionale con sentenza 21/5/01 n. 156, che tu citi, ha dichiarato che non si applica l’Irap ai lavoratori autonomi che esercitano l’attività in assenza di capitali e lavoro altrui. Sul concetto di attività organizzata vi sono inoltre altre numerose sentenze di primo e secondo grado formulate sulla base delle istanze di rimborso presentate da molti professionisti e imprenditori individuali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 2702 del 5/2/2008) ha posto le basi per una soluzione alla radice del problema. Credo che l’Usigrai dovrebbe intervenire sulla Rai perché siano evitate ad altri giornalisti precari inutili e gravose vessazioni. Anche il sindacato territoriale – Sigim – dovrebbe attivarsi. Il Sigim lo percepisco da Milano come un sindacato molto attivo.

(leggi:/www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2007/02/irap-criscione.shtml?uuid=c5d8074a-c009-11db-9538-00000e25108c&DocRulesView=Libero).

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La lettera di Ave Matilde Ponzielli:

“La dignità, professionale e umana, il giornalista, come “ogni onorevole cittadino”, se la deve conquistare sul campo, nonostante la condotta degli editori, la cattiva politica e i poteri forti, senza se e senza ma, riconoscendo come unico padrone solo e soltanto la propria coscienza (benformata)”.

Caro Abruzzo, ricevo dall’amico Nico (Fiordelisi) il suo “Appello- Manifesto” e mi permetto poche righe di osservazioni che nascono dalla mia personale esperienza di attività professionale vissuta e spesa al servizio (essenzialmente pubblico) dell’educazione dei giovani informata al rispetto dei Valori (tutti quelli da lei citati, ma non solo).

Perché la battaglia promossa e promessa possa risultare concreto ed efficace servizio, non confusa con ambizioni di esibizionismo personale, dovrebbe palesarsi nel proponente, all’interno di un atteggiamento di intelligente umiltà, una seria volontà e capacità autocritica relativamente al settore di specifico interesse professionale.

La dignità, professionale e umana, il giornalista, come “ogni onorevole cittadino”, se la deve conquistare sul campo, nonostante la condotta degli editori, la cattiva politica e i poteri forti, senza se e senza ma, riconoscendo come unico padrone solo e soltanto la propria coscienza (benformata).
L’autonomia professionale si guadagna, si mantiene e si difende a suon di reale assunzione di quelle responsabilità strettamente connesse, ancorché scomode, impopolari e costose sotto ogni profilo.
La tanto invocata “libertà di stampa” (ma anche l’abusato “segreto professionale”) evoca, con tristezza e fastidio, l’altrettanto vetusta “libertà di insegnamento” (e relativi “segreto d’ufficio” e “rispetto della privacy”), vessilli quasi sempre chiamati in causa più per ragioni di basso profilo opportunistico che per il loro originale significato e valore.
Solo su queste basi, a mio modesto avviso, si può pensare, oggi, in un clima complessivo di devastante e crescente diffusa sfiducia in uno Stato di diritto, di dare vita, con coerenza, ad una apprezzabile e lodevole battaglia di civiltà quale da lei proposta.

Cordiali saluti.

Ave Matilde Ponzielli

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