Andrea Ambrogetti, presidente di Dgtvi, l’associazione dei player tv nata per favorire l’affermazione del digitale terrestre, ha strappato di brutto.
La lacerazione era così evidente che il viceministro al Ministero dello Sviluppo Economico Paolo Romani (foto), in persona, ha dovuto metterci una pezza. Tutto è nato con una infelice intervista che Ambrogetti ha rilasciato nei giorni scorsi al quotidiano La Stampa e di cui ieri abbiamo dato conto (a proposito: questo periodico ha segnato un nuovo record di accessi!). Un’intervista nella quale, non si sa bene come e perché, il presidente di Dgtvi se ne è uscito che nelle valli laterali del Piemonte occidentale (Area tecnica 1) vi sarebbero state decine di impianti di comuni e comunità montane di cui il MSE-Com non era a conoscenza e che quindi non avevano potuto essere convertiti dall’analogico al digitale, oscurando di fatto molti centri abitati minori. Impianti a tutti gli effetti abusivi, quindi. Una dichiarazione che ha fatto saltare sulla sedia i funzionari dell’Ispettorato territoriale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del MSE-Com, che del severo controllo del territorio di competenza hanno sempre fatto un vanto. Un’uscita che non è piaciuta nemmeno a Romani, che s’è affrettato a smentirla in una controintervista al medesimo quotidiano. "Il ministero sa perfettamente dove sono i ripetitori della televisione, anche quelli piazzati da Comuni, Comunità montane o privati", ha dichiarato il viceministro al MSE, che ha motivato il black out piemontese col fatto che "Il problema non è stato sapere dov’erano gli impianti, ma, semmai, chi doveva provvedere alla conversione. Forse questo passaggio non è stato completato celermente come si doveva, ma è questione di ore, qualche giorno al massimo. E tutto andrà a posto". Il riferimento di Romani è, ancora una volta, ai micidiali impianti ex art. 30 D. Lgs 177/2005, una clamorosa ed imperdonabile (perché la questione era arcinota) svista del suo staff tecnico. Romani ha colto l’occasione per correggere un’altra informazione reputata erronea: quella relativa alle antenne riceventi. “Chiariamo subito un punto: non è possibile che ci sia un orientamento sbagliato delle antenne. L’orientamento è lo stesso dell’analogico. Chi dà questa spiegazione inventa”, ha spiegato piccato Romani (peraltro, generalizzando, sbagliando clamorosamente; il che non è tollerabile per un ex editore televisivo come lui). “I problemi possono nascere per chi si trova al limite di un territorio irradiato da un ponte radio. Quando la trasmissione era analogica, essere al limite voleva dire avere un segnale più debole, quindi trasmissioni disturbate. Nel caso del digitale l’attenuazione del segnale fa sì che non si veda più nulla. La via di mezzo non esiste”, ha continuato Romani, almeno su un punto convenendo con l’avventato presidente di Dgtvi. A riguardo di chi aveva contestato un’eccessiva accelerazione della migrazione digitale (il termine fissato a livello europeo è per il 2012) il viceministro ha risposto secco: “Al contrario, abbiamo forse impiegato anche troppo tempo. In futuro, per le altre regioni d’Italia, non faremo più passare così tanti mesi tra switch-over e switch-off. In America hanno spento tutto in una notte, il 12 giugno”. Ma ad un’accusa Romani, in particolare, ha reagito con determinazione: quella di avere affrontato con troppa approssimazione un processo così delicato. “Non sono d’accordo – si è ribellato l’ex operatore televisivo – per certi versi abbiamo aspettato anche troppo. Anche quando ci fu il passaggio dei telefonini dalla rete Gsm a quelle più evolute ci furono problemi tecnici e lamentele. Ma non c’è confronto fra le due tecnologie, e oggi nessuno protesta più. Anzi”. Sarà, ma si dice che in Viale America 201 si sudi freddo pensando allo switch-off di Campania, Lazio e, soprattutto, Lombardia. Anche perché Romani degli errori del Piemonte occidentale non vuol più sentirne parlare.