Quasi tre quarti delle decisioni assunte in un anno non apportano alcun concreto vantaggio alla società
Questo è quanto comunicato dai giudici del dibattimento attraverso una lettera – denuncia per l’anno giudiziario appena aperto. Infatti, nell’ambito dei procedimenti penali di Milano, gli stessi pm, avvocati e giudici affermano di percepire uno stipendio, peraltro corrisposto dallo stato, per “fornire una giustizia penale del tutto inutile”. In particolare, a quanto riferito, i dati emersi in ordine all’esito delle decisioni assunte sulle persone indagate sono i seguenti. Circa il 30% dei processi si conclude con sentenze di assoluzione o di condanna delle “impronte digitali”, ovvero su stranieri mai identificati e che, pur avendo fornito anni or sono i propri dati alla polizia, sono perennemente rimasti dei fantasmi. Quanto, invece, agli imputati identificati ma rimasti irreperibili, i giudizi continuano in contumacia, peraltro in violazione, stando a quanto sostenuto dalla Corte Europea, al principio del “giusto processo”. Pur andando meglio le cose quando gli indagati siano stati identificati e avvisati, all’incirca nel 40% dei processi, i relativi giudizi si concludono, anche per i reati più gravi, per prescrizione o indulto. In quest’ultima eventualità, in particolare, si decide di estinguere la pena in forza di un provvedimento generale di clemenza, ispirato, almeno originariamente, a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale; tuttavia, sono in molti a denunciare come tale istituto degeneri, di fatto, in uno strumento di periodico sfoltimento delle carceri. A sollevare il morale dei magistrati milanesi, rendendoli soddisfatti del proprio operato, sono i processi per direttissima. Infatti, l’unico servizio che provoca condanne e carcere, a loro dire, sarebbero le bagattelle commesse dagli stranieri irregolari, e che provocano una trentina di arresti giornalieri. In tal caso, gli imputati, condannati a pene detentive che vanno dai 3 ai 12 mesi, espiano concretamente la condanna loro inflitta. I magistrati, pur lamentandosi del servizio offerto dalla giustizia penale e del quale sono loro i fautori, precisano di non voler carcere per tutti, ma, attraverso la lettera – esposto in questione, rilevano come “un sistema repressivo che non reprime è una fabbrica che non produce, è un servizio che gira a vuoto” (tratto da “La protesta dei giudici milanesi: siamo socialmente inulti” scritto da Luigi Ferrarella, Corriere della Sera del 12/01/2008). (D.A. per NL)