Lo scorso 6 novembre il direttore di “Libero”, Vittorio Feltri, era intervenuto, con un editoriale sul suo quotidiano, sul caso che aveva visto protagonisti Daria Bignardi (foto), conduttrice de “Le invasioni barbariche”, e Luciano Moggi, ex direttore generale della Juve ed improvvisato scrittore, con un libro in uscita dal titolo “Un calcio nel cuore”, sulla sua vicenda personale in seguito allo scandalo di “Calciopoli”. Moggi, ospite alcuni gironi prima del programma della Bignardi (per promuovere l’uscita delle sue memorie…), aveva avuto parole durissime per la sua intervistatrice, colpevole (a suo dire) d’essere stata scorretta nel porgli le domande, di non avergli lasciato il tempo di rispondere. Il vero problema di Lucky Luciano, per la verità, sembrava essere più la disinvoltura della conduttrice nel porgli quesiti anche scomodi, piuttosto che il poco spazio concessogli per rispondere. L’evasività delle sue risposte, d’altronde, non necessitava di tutto lo spazio da lui richiesto.
L’avvenimento, ripreso da Feltri, ha rappresentato l’occasione per un dibattito sull’arte dell’intervista tra alcuni esperti e meno esperti, che hanno detto la loro, hanno tracciato un proprio metodo deontologico, hanno dato i voti ai più noti giornalisti-intervistatori italiani.
Sull’argomento si è espresso uno dei più grandi esperti di quest’arte in Italia: Claudio Sabelli Fioretti, giornalista e scrittore, che collabora con il “Corriere” ed è editorialista di “Io donna”. Sabelli Fioretti, considerato da molti uno dei più bravi intervistatori d’Italia, ha attualmente in uscita tre monografie “domanda-risposta”, con protagonisti Marco Travaglio, Dolce & Gabbana e Sandro Bondi. Il giornalista “assolve” la Bignardi, ma sottolinea: “L’intervista non dev’essere una battaglia. Nella mia esperienza, l’intervistato, quando finisce l’intervista, è quasi sempre sicuro d’avermi convinto”. Moggi, probabilmente, quest’impressione, con la Bignardi, non l’ha avuta.
Esiste, poi, una differenza sostanziale, non sempre tenuta in debita considerazione, tra interviste sui giornali e interviste in tv: “Sulla carta stampata l’intervistatore ha un potere enorme, può cambiare, spostare le domande. Per questo io faccio sempre rileggere tutto. La tv è diversa, per certi versi più difficile”. Far rileggere tutto è, certamente, dimostrazione di garbo ed umiltà intellettuale. Certo è, che non con tutti questo garbo funziona: “Ruggero Guarini ha riletto l’intervista e non voleva fosse pubblicata. […] Pubblicammo lo stesso, ma scrissi, su suggerimento di Paolo Mieli, un pezzo in cui raccontavo l’intervista di Guarini. Anche Ida Di Benedetto voleva fermare l’intervista perché si parlava del suo rapporto con l’allora ministro Giuliano Urbani. Telefonò addirittura a Cesare Romiti. Pubblicammo. Pure Cirino Pomicino era contrario, non ne voleva sapere”. Anche Giampiero Mughini, collaboratore di “Libero” ed ex giornalista (dopo la radiazione dall’albo laziale per aver scritto due articoli nonostante fosse stato sospeso per uno spot sui telefonini al quale aveva preso parte), ha espresso il proprio pensiero sulla questione Bignardi-Moggi e sul più generale tema dell’intervista. “E’ pura utopia che un’intervista sia fatta per mettere all’angolo l’intervistato” – dice – “Da che mondo è mondo l’intervistato ha l’ultima parola”. Non dovrebbe, perciò, un intervistatore che si rispetti, assalire l’ospite senza lasciargli lo spazio per esporre le proprie tesi. Cosa che non ha fatto Daria Bignardi, a suo dire. “Non sapeva neppure di cosa stesse parlando”, dice. E questo è un punto di vista, certamente opinabile, ma moderatamente condivisibile. “Ha voluto contestare un uomo solo perché ha aiutato un amico (Pierluigi Pairetto, ex designatore arbitrale, ndr) ad avere prima la Maserati”. E questo appare un tentativo, un po’ patetico, di liberare Moggi dall’etichetta di “lupo cattivo”. “Sapeva solo che Moggi non fa parte del salotto radical chic come lei” – continua aspramente Mughini – “Lei è come Fazio”. Parte, qui, il gioco dei nomi, una sorta di “pagella”, che i due esperti d’interviste hanno stilato, degli intervistatori italiani. “Fazio, quando arriva nella sua trasmissione uno della sua parrocchia è come se vedesse la Madonna di Lourdes”, è il primo, velenoso, commento del giornalista juventino più famoso d’Italia. Non è d’accordo con lui Sabelli Fioretti, che invece promuove il conduttore di “Che tempo che fa”. Enzo Biagi, poi, “faceva parlare l’intervistatore chiunque esso fosse”, secondo Mughini, che poi definisce Giuliano Ferrara “uno al di sopra della media, un Maradona”. Non così encomiastico nei confronti del direttore de “Il Foglio” è Sabelli Fioretti, secondo cui “è un interlocutore, non un intervistatore”. Santoro, Floris e Vespa, poi, non sono dei veri intervistatori.
Mughini, infine, parla dell’altro, dicendo: “Mi ha fatto delle porcate incredibili, ma è veramente bravo”. L’oscar di Sabelli Fioretti, per finire, va a Gigi Marzullo: “Ha una tecnica raffinatissima, è pronto, preparato, fa domande tormentone ma per conduzione, preparazione, consequenzialità delle domande è proprio bravo”. Forse perché, nel panorama “gridato” del giornalismo italiano di oggi, il suo stile “sotto voce” ha un’efficacia diversa, quasi magica. (Giuseppe Colucci per NL)