L’odierna società dell’informazione vive nella convinzione che, grazie alla continua proliferazione di testate e testatucce, di organi d’informazione d’ogni tipo, di quotidiani, periodici, free press, tv, radio e blog in tutto il mondo, ci troviamo davanti un mondo dove la gente comune possa accedere finalmente ad un’informazione completa, pluralistica e certa, cosa che nei millenni che hanno preceduto la nostra civiltà era praticamente impensabile. Ciò è vero solo in parte. A fronte di questa società globalizzata dove tutto è business, anche l’informazione, forse ancor più che altri settori, è divenuta business: la conoscenza, nel mondo, è divenuta funzionale a poteri sempre più forti, sia che essi provengano dal mondo politico, sia che vengano da quello delle multinazionali. Insomma, potere e informazione, potere e giornalismo stanno assumendo un ruolo sempre più interconnesso, minando la certezza, la libertà e la veridicità dell’informazione. Un’accurata analisi portata avanti negli Stati Uniti da Bill Kovach, Presidente del Commitee of Concerned Journalists, e Tom Rosenstiel, responsabile del Project for Excellence in Journalism, sottolinea come il giornalismo stia divenendo sempre meno libero e sempre più funzionale ad altri interessi, cosa che ne va inevitabilmente a minare la qualità e, quel che è peggio, la credibilità. Il loro lavoro ha coinvolto 300 giornalisti e 3.000 lettori, sondando i pareri di entrambi gli attori principali della comunicazione giornalistica, cercando così di tracciare una sorta di vademecum dei principi che dovrebbero animare il mestiere del giornalista e che, sempre più spesso e sempre più volentieri (per quelli che sono i grandi burattinai dell’informazione), vengono elusi. “I Fondamenti del Giornalismo – Ciò che i giornalisti dovrebbero sapere e il pubblico dovrebbe esigere” è un libro per tutti, che si legge in modo scorrevole e che apre gli occhi a quanti avessero vissuto sulla luna negli ultimi decenni su quelli che sono i veri ingranaggi che animano il circuito dell’informazione internazionale, ponendo l’accento non solo sugli interessi prettamente economici, ma anche su quelli indirettamente economici, come l’informazione trasformata in intrattenimento, in “cibo in scatola” per soddisfare le nuove richieste di un pubblico volutamente indirizzato in direzione di una conoscenza più “soft” del mondo che lo circonda, intontito, frastornato dai messaggi pubblicitari che vengono dai media, veri e propri “mandanti” di questo eccidio di massa del sapere dell’uomo. Il libro di Kovach e Rosenstiel, però, oltre e più che al grande pubblico, è indirizzato agli addetti ai lavori, specie ai giovani cronisti o agli apprendisti giornalisti, per istruirli e metterli in guardia nei confronti di un sistema che sta marcendo dal suo interno e che, se non risollevato in tempi relativamente brevi, rischia di trasformare l’informazione e il mestiere del giornalista in una sorta di grande farsa, in una colossale messa in scena per trasformare gli uomini in consumatori, i loro corpi in ricettacoli d’articoli di consumo e le loro anime in meri soldoni. (Giuseppe Colucci per NL)