Il governo censura alcuni dei più importanti siti di video streaming. Ma sono i giudici che ne sentenziano la chiusura, spesso perché irrispettosi nei confronti di Ataturk.
Impressioni dalla blogosfera turca. Verrebbe immediato pensare che il governo di un Paese tra i cui principali intenti v’è quello di entrare nella Comunità Europea s’impegni strenuamente alla ricerca di metodi per appianare le divergenze che, in questo momento, lo rendono ostile ai principi dell’Unione Europea. Uno di questi è, certamente, la limitazione della libertà d’espressione e la censura, perpetrata all’interno dei giornali, della tv ed anche di internet. Il governo di Recep Tayyp Erdogan, di fatti, pone delle restrizioni nei confronti di alcuni siti, spesso famosi e cliccatissimi come YouTube, o WordPress, sino al social network Slide, rei d’offendere la morale (laica) del Paese, il suo fondatore e capopopolo simbolico, Mustafa Kemal Ataturk e, persino, alcuni privati cittadini che sporgono denuncia nei confronti di alcuni contenuti ritenuti lesivi della proprio immagine. In Turchia, ad esempio, YouTube è sottoposto a censura. In molti pensano, istintivamente, che le ragioni vanno ricercate, come sempre accade in Turchia quando si discute di alcune limitazioni, nella presenza di ipotetiche ingiurie , insulti e quant’altro, nei confronti del Padre della Patria. In realtà, come ci spiega il blogger SortiPreneur, straniero residente in Turchia, dalle pagine di Global Voices, si tratta di limitazioni imposte da giudici chiamati a giudicare casi personali (presentati da privati cittadini turchi) di querele per diffamazione a seguito di video o contenuti che ledono la propria immagine. E, spesso, i giudici, avendo una conoscenza nei riguardi della rete e delle sue opportunità, bassissima, arrivano a sentenze che mancano di prendere in considerazione alcuni aspetti fondamentali dell’informazione in rete, come l’assenza di censure “editoriali” alla base (se non per testate registrate al Tribunale come la nostra). “Il problema principale, secondo me, – prosegue SortiPrenenur – è la scarsa conoscenza di Internet da parte dei giudici turchi, in particolare del cosiddetto user-generated content (contenuti realizzati dall’utente). Ci sarebbe bisogno di designare tribunali specializzati per i processi relativi al materiale pubblicato online”.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica locale nei confronti delle sistematiche censure, però, alcuni blogger hanno deciso la linea dura. Una singolare protesta, infatti, è stata messa in atto negli scorsi giorni su alcuni dei blog locali più seguiti. Per alcuni giorni, sino allo scorso 20 agosto, alcuni di questi hanno deciso d’autocensurarsi, con l’obiettivo di sensibilizzare la gente su quello che potrebbe essere l’aspetto futuro del web qualora si lasciasse agire indisturbati nella loro opera censoria, questi governi semi autoritari, come appunto quello di Erdogan. Aprendo le pagine di alcuni blog quali il celebre Anafikir, o Metroblogging: Istanbul, gli utenti si sono ritrovati nei giorni scorsi una schermata bianca con su scritto: “Questo sito è stato bloccato per decisione [dello stesso autore]” (traduzione italiana del turco “Bu siteye erişim kendi kararıyla engellenmiştir”). Ecco come il blog Techcrunch spiega le origini di questa singolare decisione, partendo dall’esasperazione per la recente chiusura di Dailymotion, altro portale di video streaming, sostitutivo del censurato YouTube. “Il problema è diventato talmente grave – si legge – che ora i blogger turchi hanno cominciato ad auto-censurarsi spontaneamente per protesta. L’iniziativa delle false censure è partita da Firat Yildiz, che ha pubblicato quanto segue sul suo blog […]; successivamente Selim Yoruk, un altro blogger, ha creato una pagina con un codice [html] che permette a chiunque lo desideri di aggiungere facilmente il medesimo messaggio alla propria homepage. Sono circa 200 blog turchi che si sono (temporaneamente) auto-censurati in questa maniera. L’intento è dimostrare agli utenti turchi lo scenario di Internet se questa censura dovesse continuare”. In realtà, poi, chi ha avuto modo di connettersi alla rete nel Paese anatolico ha probabilmente constatato che metodi di raggiro nei confronti dei blocchi posti dalle autorità ce ne sono numerosi: basti pensare a YouTube Proxy, software scaricabile che permette di mascherare l’url, rendendolo non riconoscibile come proveniente dalla Turchia e quindi non soggetto a restrizioni. C’è da dire, chiaramente, che la presenza di metodi per aggirare il problema non deve nascondere la portata, comunque grave, del problema. Dice, a tal proposito Metroblogging: Istanbul, che definisce il sistema “censorio di tipo cinese”: “Stavamo quasi abituandoci al vuoto lasciato da YouTube quando all’improvviso anche Dailymotion, altro sito di video streaming, è stato bloccato. […] Dateci il vostro supporto lasciando un commento per denunciare insieme a noi questa situazione”. E magari convincere qualche giudice che le caratteristiche della rete mal si sposano, nel mondo tecnologizzato, con principi censori, definiti, appunto, da Metroblogging: Istanbul, “di tipo cinese”. (G.M. per NL)