Tutto e il contrario di tutto. Questa formula potrebbe sommariamente riassumere l’essenza stessa di Google, il grande colosso di Mountain View, proprietà dei giovani-senza-cravatta Larry Page e Sergey Brin. Nel giro di soli dieci anni il valore e le potenzialità della società californiana sono saliti alle stelle, ma oggi ricerche di mercato sull’efficienza della pubblicità online dichiarano come le entrate economiche non siano affatto quelle auspicate, soprattutto per la grande G che su questo settore del mercato aveva deciso di investire tanto da farne la propria filosofia di sopravvivenza nella rete. L’idea non poteva essere malvagia: imprese e aziende pagano la pubblicità solo nel momento in cui il consumatore di riferimento, interessato dallo spot, clicca sullo stesso per dirigersi verso il prodotto desiderato. Ma questa sorta di polizza assicurativa sulla capacità, o meno, di raggiungere il potenziale acquirente è meno redditizia del previsto. Businessweek ha infatti recentemente pubblicato i risultati di una meticolosa analisi effettuata dalla società comScore (letteralmente, il punteggio del “.com”) dalla quale si evince come la pubblicità online, qualunque sia la sua natura grafica e tecnica, stia lentamente perdendo terreno e diminuendo la sua efficacia. Il 50% dei click, sempre secondo comScore, sarebbe infatti da attribuire solo al 6% dei naviganti, un numero tanto ridotto da non potere essere tradotto in un aspetto interessante per il mercato. Inoltre, se considerato che quello stesso 6% di internauti sono, secondo lo studio fatto, persone o nuclei familiari con reddito basso, è inevitabile concludere che probabilmente nemmeno tutta questa fettina percentuale raggiunga i negozi per acquistare i prodotti o ottenere i servizi pubblicizzati in rete. Questo meccanismo inverso sta colpendo tutti i big di internet, tra i quali in particolare spicca Google, che secondo le stime avrebbe perso circa 120 miliardi di dollari di capitalizzazione. Così il 2008 porta con sé i primi dubbi sui modelli di crescita degli spot online, nonostante siano riusciti in breve tempo a garantire un indiscusso successo a fenomeni del calibro di Facebook o Asmallworld. (Marco Menoncello per NL)