Le più recenti vicende di un lungo contenzioso presso i tribunali di Bruxelles riportano nuovamente all’attenzione di chi si occupa di nuovi media la questione Google News. Ovvero, il problema ancora non risolto del ruolo degli aggregatori di notizie in rapporto al rispetto del diritto d’autore.
CopiePresse, associazione di editori belgi e francesi, aveva fatto causa all’ over-the-top di Mountain View sostenendo che il servizio sfruttava a fini pubblicitari contenuti coperti da copyright, senza prevedere alcun risarcimento nei confronti dei detentori dei diritti, ovvero le rispettive testate di pubblicazione originale. Situazione ulteriormente aggravata dalla funzione “copia cache” tipica dei motori di ricerca, per cui contenuti inizialmente gratuiti, ma successivamente accessibili solo a pagamento nel sito originale di pubblicazione, rimanevano leggibili liberamente per un tempo arbitrariamente definito da Google, compromettendo quindi i profitti delle suddette testate. A maggio, la Corte d’appello belga ha dato definitivamente ragione agli editori, imponendo a Google di rimuovere ogni link a contenuti coperti da copyright e appartenenti alle testate ricorrenti. Qualche giorno fa, adducendo come motivazione la piena esecuzione della sentenza, Google ha provveduto alla rimozione dei contenuti non solo da News, ma anche dal motore di ricerca principale. Risultato: riduzione massiccia del traffico sui siti delle testate coinvolte, immediate e un po’ paradossali proteste degli editori per il presunto boicottaggio, pronta replica di Google che, a fronte di assicurazioni di CopiePresse circa l’eventualità di nuove azioni legali, ha reindicizzato le pagine sul suo motore di ricerca. Evidenti in questa vicenda gli aspetti contraddittori del conflitto tra chi cerca di difendere i diritti di proprietà intellettuale e chi invece si preoccupa di diffondere l’informazione con i modi e i tempi tipici della rete. Il problema è che le testate di news online si devono porre in genere entrambi gli obiettivi, se vogliono sperare di sopravvivere. La soluzione non appare semplice ma, come dimostra la vicenda belga, chi decide di mettersi contro gli aggregatori deve prima far bene i propri conti, stabilendo la convenienza di vedere difesa la proprietà intellettuale al costo di perdere una bella fetta di visibilità sulla rete. I dati relativi al traffico proveniente dai servizi Google sono abbastanza chiari: si parla di un buon 30% di contatti, pur tenendo conto che molti si limitano a leggere i titoli e i riassunti sui motori senza raggiungere il sito originale. Quanti possono permettersi di perdere una simile quota di accessi senza rischiare di affondare nel mercato pubblicitario? Probabile se non inevitabile, in questo caso come nella querelle tra over-the-top e telco, l’avvento di accordi che prevedano un contributo degli aggregatori nei confronti dei produttori di contenuti coperti da copyright, in modo da evitare contenziosi legali dai tempi lunghi ed esiti incerti, nonché garantire il giusto ritorno economico a tutti gli attori dello scenario delle news in rete senza rinunciare ai vantaggi dei servizi di aggregazione. (E.D. per NL)