Se c’è una cosa che non possiamo che invidiare alla business community americana è proprio la rigorosa trasparenza delle comunicazioni ai mercati. Mentre da noi ci si chiede se sia lecito o meno rendere disponibili online i dati delle dichiarazioni dei redditi degli italiani, negli Stati Uniti desta scalpore un documento ufficiale comparso tra gli atti della autorità di regolamentazione dei mercati azionari (la nostra CONSOB, per intenderci) in cui si affronta uno dei temi più spinosi degli ultimi mesi: la censura. Per capire bene la portata della notizia dobbiamo fare un passo indietro e spiegare che tra qualche giorno (l’8 maggio, ndr) avrà luogo l’annuale assemblea degli azionisti di Google. In questo appuntamento, oltre a venir analizzati i dati di bilancio dell’azienda, si mettono ai voti eventuali proposte degli azionisti. Succede che nell’ordine del giorno dell’assemblea di quest’anno, pubblicato sul sito della SEC, compaiono due proposte che hanno a che vedere con due temi molto delicati: la censura e il rispetto dei diritti umani. Alcuni degli azionisti di Google chiedono infatti che l’azienda si impegni a non collaborare in alcun modo ad attività che favoriscano la censura e che si crei un Commissione che promuova il rispetto dei diritti umani. Ora, è noto a tutti che Google sia da più parti messa alla berlina per il suo operato in Cina. Ci si aspetterebbe quindi che la tematica venisse affrontata con tatto estremo. Stupisce invece leggere, nello stesso documento officiale, che i vertici di Google suggeriscano, senza troppi giri di parole, di votare contro queste due proposte. La cosa ha di per sé dell’incredibile perché sino ad ora Google aveva speso montagne di dollari per arruolare le migliori agenzie di pubbliche relazioni e convincere l’opinione pubblica mondiale della buona fede del suo operato. Di fronte ad una precisa proposta di uno degli azionisti di minoranza invece, i vertici hanno dovuto assumere una posizione estremamente netta in merito. E se tale posizioni è molto discutibile nei contenuti, non si può certo dire, ironia della sorte, che l’azienda non faccia della trasparenza verso i mercati una propria bandiera. Non è pensabile che si sia trattato di una svista, per cui c’è da chiedersi che cosa ci sia dietro una strategia così azzardata, destinata a sollevare un gran polverone. Che i vertici di Google puntino a far sancire il proprio comportamento in Cina dai propri azionisti, gli unici a cui legalmente debbono rendere conto? (Davide Agazzi per NL)