Gli italiani non disdegnano l’advertising

Secondo quanto emerso da un sondaggio dell’Ipsos un italiano su due gradisce le interruzioni pubblicitarie


La pubblicità agli italiani piace, forse più degli stessi programmi televisivi. Secondo un sondaggio dell’Ipsos, presentato lo scorso 13 marzo in occasione del convegno “TeleVisioni, pubblicità e qualità nella tv che cambia”, promosso dal Dipartimento per l’informazione de La Margherita, infatti, il 48% degli italiani (su un campione di 1400 intervistati) dichiara di apprezzare la qualità degli spot televisivi. La percentuale sale ulteriormente (64%) nella fascia d’età dai 18 ai 30 anni, in quella fetta di pubblico definita “multimediale”, mentre perde qualche punto tra i più attempati (44% per i “lettori”, 31-45 anni; 48% per i “radiotelevisivi”, 46-64 anni; 41% per i “telesclusi”, over 65). Al convegno erano presenti molti ospiti illustri, dal guru dei pubblicitari, il francese Jacques Seguèla, al ministro Paolo Gentiloni, passando per i direttori di Rai Uno, Rai Due e Rai Tre, fino ad arrivare all’a.d. di Magnolia, Giorgio Gori. Nonostante questi dati inaspettatamente positivi per l’advertising made in Italy, Seguèla ha commentato in proposito: “Se dovessi fare pubblicità in tv svilupperei le virtù e correggerei i vizi. La tv è diventata una realtà in cui il cinismo impera al posto dell’immaginazione. E il denaro si è sostituito al talento: è un errore perché il denaro non ha idee e solo le idee generano denaro. Cinque anni di governo Berlusconi, poi, hanno ucciso ogni differenza tra rai e Mediaset. Anche il giornalismo è diventato spettacolo di massa in cui l’effetto sostituisce il fatto e il culto del dramma uccide la riflessione”. Da par suo, il ministro Gentiloni sostiene che i dati dell’Ipsos rappresentino “una fotografia molto realistica. Non penso che nel nostro Paese ci sia un atteggiamento antipubblicitario del pubblico e del resto la televisione è nata con Carosello. La discussione si apre sul numero delle interruzioni pubblicitarie, sulla diffidenza che c’è verso questa sorta di bulimia pubblicitaria, di eccesso di quantità”. Passando la palla, dal mondo dello spot a quello della televisione tout court, interviene Del Noce, direttore di Rai Uno, il quale ha un bizzarro modo di intendere la qualità dei contenuti tv: “Se si raggiungono gli obiettivi di ascolto è stata raggiunta la mission della rete e del prodotto. E’ qualità ciò che non scende sotto un certo livello”. Di parere comprensibilmente opposto è, invece, il direttore di Raitre, Paolo Ruffini, il quale sostiene che “l’audience non è detto che sia qualità, sarebbe come dire che i film migliori sono quelli che fanno più cassetta”. (Giuseppe Colucci per NL)

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