Gli inquirenti possono passare le notizie alla stampa senza incorrere in una condanna per rivelazione di segreto d’ufficio se chi è sottoposto alle indagini è già stato messo al corrente di quanto accade

Lo ha stabilito la Cassazione penale con la sentenza n. 25167/2008


Franco Abruzzo.it

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1) Con la sentenza indicata in epigrafe il GUP presso il Tribunale di Pordenone ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di R.M. in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv. e art. 326 c.p. al medesimo ascritto, perchè il fatto non sussiste.

All’imputato era stato contestato di avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, violando i doveri inerenti alla sua funzione di comandante del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità del Comando Carabinieri di Udine e, in particolare, violando il disposto dell’art. 329 c.p.p. e D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 15, come sostituito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 28, rivelato a G.I. e S.A., giornaliste del quotidiano “(OMISSIS)”, ed a B.M., giornalista del quotidiano “(OMISSIS)”, notizie relative ad indagini eseguite dal Nucleo da lui comandato ed inerente l’attività di alcuni sanitari operanti nel circondario di Pordenone, così facendo pubblicare dai quotidiani suddetti notizie relative ad indagini in corso e che dovevano restare segrete, ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e dei cui risultati, in alcuni casi, non era stata ancora data comunicazione all’Autorità Giudiziaria procedente da parte della P.G. operante. Specificamente, la contestazione riguardava, oltre alla rivelazione dell’identità degli indagati P.A. e M.N. e di particolari specifici dei fatti agli stessi addebitati, la natura sofisticata e l’elevato valore della strumentazione rinvenuta in corso di perquisizione e sottoposta a sequestro (in (OMISSIS)).

Il GUP ha rilevato, in particolare, con riguardo all’indagine nei confronti del dott. P., che, quando l’imputato aveva parlato con le due giornaliste del (OMISSIS), il 20 e 21 ottobre 2005, il P. aveva già ricevuto copia del decreto di perquisizione e dei relativi verbali, dell’informazione di garanzia e di quella sui diritti di difesa (atti tutti notificatigli il 18.10.2005), ed inoltre gli atti relativi alle perquisizioni ed al sequestro erano depositati presso la Segreteria del P.M.; sicchè non esisteva più alcun segreto istruttorio, ai sensi dell’art. 329 c.p.p..

Quanto alla vicenda M., non vi era invece prova che fosse stato il Comandante R. a raccontare la notizia dell’indagine alla stampa; e in ogni caso, anche a voler ipotizzare che fosse stato l’imputato a passare l’informazione il giorno prima della pubblicazione, e cioè il 21.10.2005, in tale data la dott.ssa M. era già a conoscenza della notizia di essere indagata, avendo ricevuto il 18.10.2005 l’invito a presentarsi per l’interrogatorio e le informazioni ex artt. 369 e 369 bis c.p.p..

2) Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 326 c.p., in relazione all’art. 329 c.p.p., comma 1.

Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, il fatto che l’indagato P. fosse a conoscenza delle indagini (fatto peraltro contestato dallo stesso indagato) e che gli atti relativi alla perquisizione ed al sequestro fossero già stati depositati presso la Segreteria della Procura della Repubblica, non fa venir meno la configurabilità del reato di cui all’art. 326 c.p., ipotizzabile anche nel caso in cui il fatto coperto da segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di diffonderlo in un ambito più vasto.

Quanto alla vicenda M., il ricorrente rileva da un lato che, contrariamente a quanto ritenuto dal GUP, dagli atti emerge chiaramente che le relative informazioni furono fornite proprio dal R., e dall’altro che, alla data di prima pubblicazione della notizia nella cronaca locale, alla professionista era stato notificato unicamente, a cura della Sezione P.G. della Procura, l’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio e il correlativo avviso di garanzia; sicchè la predetta, pur avendo ricevuto formalmente notizia dell’esistenza del procedimento a suo carico, non aveva ancora potuto avere accesso ad alcun atto d’indagine compiuto.

Motivi della decisione

1) Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato.

Come è stato evidenziato nell’impugnata sentenza, la fonte del segreto di ufficio sanzionato dall’art. 326 c.p. deve essere rinvenuta, nel caso di specie, nell’art. 329 c.p.p., comma 1, il quale dispone che gli atti di indagine compiuti dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Nella fattispecie in esame, il GUP ha accertato, in punto di fatto, con riferimento all’indagine in corso nei confronti del dott. P., che il Comandante R. effettivamente ebbe a riferire a due giornaliste del (OMISSIS), rispettivamente in data (OMISSIS), alcune notizie relative al tipo dei beni sequestrati all’indagato e al loro valore; ma che, all’epoca di tali rivelazioni, il P. aveva già ricevuto copia del decreto di perquisizione e dei relativi verbali, dell’informazione di garanzia e di quella sui diritti di difesa (atti tutti notificatigli il 18-10-2005), ed era quindi pienamente a conoscenza dell’indagine a suo carico e dei beni sequestratigli; e che, inoltre, gli atti relativi alle perquisizioni ed al sequestro erano già stati depositati presso la Segreteria del P.M. Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, incensurabile in questa sede, legittimamente il GUP ha ritenuto che le notizie rivelate dall’imputato alle due giornaliste riguardavano atti non più coperti da segreto ai sensi del menzionato art. 329 c.p.p., in quanto già portati legalmente a conoscenza dell’indagato.

Correttamente, di conseguenza, il giudice ha escluso, in relazione alla vicenda in esame, la sussistenza degli estremi integrativi del reato di rivelazione di segreto di ufficio di cui all’art. 326 c.p., non essendo configurabile tale ipotesi delittuosa in relazione ad un atto già conosciuto dall’indagato e quindi non più coperto, ai sensi dell’art. 329 c.p.p., comma 1, dal segreto, salvo che (ipotesi che non ricorre nella fattispecie in esame) il P.M. non ritenga necessario, al fine di evitare pregiudizio per la prosecuzione delle indagini, disporre, ai sensi del citato articolo, comma 3, la segretezza dell’atto stesso (Cass. 16-5-1995, Miccoli).

Non appaiono pertinenti, d’altro canto, i precedenti giurisprudenziali richiamati dal ricorrente, i quali, nel ritenere configurabile il reato di cui all’art. 326 c.p. anche nel caso in cui il fatto coperto da segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di diffonderlo in un ambito più vasto, presuppongono che l’atto sia ancora coperto da segreto; ipotesi che, come si è rilevato, non ricorre nel caso di specie.

2) Quanto alle doglianze mosse dal ricorrente in ordine alla vicenda M., si osserva che il GUP, con apprezzamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto non provato che sia stato l’imputato a rivelare alla stampa notizie inerenti all’indagine in corso. Le affermazioni del Procuratore della Repubblica, secondo cui sarebbe stato il R. a propalare le notizie attinenti a tale indagine, si risolvono, pertanto, in inammissibili censure di merito, dirette ad ottenere una diversa lettura degli atti ed una nuova valutazione delle risultanze processuali, esulanti dai poteri di cognizione riservati a questa Corte.

Il GUP, in ogni caso, ha evidenziato che, anche a voler ipotizzare che fosse stato l’imputato a passare alla stampa l’informazione il giorno prima della pubblicazione, e cioè il (OMISSIS), in tale data la dott.ssa M. era già a conoscenza della notizia di essere indagata, avendo ricevuto il 18-10-2005 l’invito a presentarsi per l’interrogatorio e le informazioni ex artt. 369 e 369 bis c.p.p.;

e che, pertanto, al momento della propalazione, non vi era più il segreto ex art. 329 c.p.p..

Trattasi di conclusioni corrette sul piano giuridico, alla stregua dei principio enunciato da questa Corte, secondo cui la segretezza prevista dalla citata disposizione di legge cessa soltanto con la attivazione delle garanzie conoscitive della difesa, cioè nel momento in cui per la persona sottoposta alle indagini sorge la possibilità giuridica, e non di mero fatto, di sapere delle esistenza di indagini sul suo conto, ossia il diritto a ricevere l’informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.) (Cass. Sez. 6, 17-5-2004 n. 35647).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2008

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