Coraggiosa ed originale inchiesta messa in atto da due giornalisti di Sky per la trasmissione “Controcorrente”, in onda questa sera in seconda serata: i due, mediorientali di nascita ma non religiosi praticanti, si sono travestiti proprio da “osservanti” e, con una telecamera nascosta, sono entrati nelle moschee più “calde” d’Italia, quelle delle quali si parla con maggiore enfasi, che sono state soggette ad indagini contro il terrorismo, per scoprire come, negli ambienti più riservati, i leader islamici parlino della loro permanenza nel nostro Paese. I due, per la puntata dal titolo “Un velo fra noi”, hanno diviso il proprio reportage in tre tappe: la moschea di Centocelle a Roma, quella di Varese e quella di viale Jenner a Milano, incontrando i tre Imam e discutendo con loro delle maggiori problematiche che gli islamici italiani si trovano a dover affrontare: la sharia, la legge islamica di provenienza divina, ed i suoi diktat, dal velo alla poligamia. Durante i propri incontri, i due giornalisti, hanno incontrato opinioni differenti tra i leader religiosi incrociati, dalle posizioni più estremiste dell’Imam di viale Jenner a quelle più “politically correct” dell’Imam di Varese. Il primo, Abu Imad (come gli altri, inconsapevole di essere ripreso da telecamere), ha dichiarato la propria opinione, sostenendo che tutti gli islamici abbiano l’obbligo di farsi governare dalle leggi coraniche, per cui anche in Italia dovrebbe essere la sharia il punto di riferimento per loro e non la legge italiana. Inoltre, ha sottolineato come la propria libertà di culto (con niqab, ossia il velo integrale, la poligamia e le altre rigide leggi islamiche annesse) sia favorita ed incentivata dalla nostra Costituzione: “La Costituzione è al di sopra di qualunque legge e la Costituzione di questo Paese garantisce la libertà di culto. Perciò una legge che impedisce a una donna musulmana di portare il niquab è una legge anticostituzionale. Non venga qualcuno nel nome della libertà a togliermi la mia libertà”. Nulla di più vero, giusto ed innegabile, se non fosse che, con tutta probabilità, il trattamento riservato agli occidentali (anche non religiosi praticanti) nel suo paese d’origine non sarebbe lo stesso. Occorre, ad onor del vero, rilevare che il suo popolo ha subito e sta subendo dei soprusi in nome di questa “libertà che toglie la libertà”, ma ciò non giustifica atteggiamenti certo partigiani. Invece, Haji Ibrahim, Imam di Varese, sottolinea subito (all’inizio dell’incontro con i giornalisti in incognito) che quella presieduta da lui non è una moschea estremista, gode di questa fama negativa a causa dell’arresto di alcuni “confratelli”. La condivisibile opinione di Haji Ibrahim è che la sharia vada applicata nei paesi in cui l’islam è la religione di Stato, adattandosi, piuttosto, alle leggi dei paesi ospitanti, nel pieno rispetto, da parte di questi ultimi, dei dettami dell’islam. L’Imam romano, infine, sposta il discorso sul versante della pacifica convivenza tra genti di fedi religiose differenti ed anche, spesso, in aperto contrasto tra loro. Il niqab sarebbe, secondo lui, controproducente nell’ottica di una convivenza rispettosa, che gioverebbe proprio agli islamici, prima ancora che agli ospitanti: il fatto che il niqab, o il velo nell’accezione più allargata del termine, non sia ben visto dagli occidentali rappresenta un limite alla coesistenza, che si tramuta in una forma di xenofobia (da parte di una fetta di popolazione), evitabile con dimostrazioni di maggiore integrazione. Insomma, visioni differenti della mission islamica in occidente ma stesso desiderio di riconoscimento della propria libertà religiosa. E, contro gli iper-nazionalisti, c’è da segnalare una scarsissima propensione alla guerra di civiltà. (L.B. per NL)