Mentre un Gruppo di lavoro del Ministero della Giustizia discute sulla sinteticità degli atti processuali in prospettiva di velocizzare i processi, l’Italia, insieme a Cipro, conquista la maglia nera dell’efficienza della giustizia. I dati raccolti dalla V edizione del Justice Scoreboard della Commissione Europea riportano la preoccupante situazione della nostra amministrazione giudiziaria, troppo lenta rispetto agli standard europei. Nei paesi più virtuosi (Svezia, Ungheria, Estonia, Bulgaria, Slovenia e Polonia) sono necessari circa 100 giorni per la risoluzione in primo grado delle cause civili e amministrative, mentre in Italia sono necessari oltre 500 giorni per le prime e oltre 1000 giorni (tre mesi!) per le seconde.
Cipro fa peggio di noi, con 1400 giorni per le cause amministrative e 600 per quelle civili, ma il dato non consola, anzi, richiede un approfondimento per comprendere le cause della lentezza della giustizia nazionale.
Il rapporto della Commissione include alcuni dati importanti per fare luce sul problema. È interessante, ad esempio, guardare il numero di giudici rapportato sia alla popolazione, sia al numero di avvocati: l’Italia è infatti agli ultimi posti per numerosità dei giudici, che sono circa 10 ogni 100mila abitanti; mentre è in testa alla classifica del numero di avvocati, circa 400 ogni 100mila abitanti. Per fare un raffronto, nei paesi con la giustizia più efficiente il rapporto magistratura-avvocatura è decisamente meglio bilanciato: in Ungheria sono presenti circa 40 giudici e 100 avvocati ogni 100mila abitanti. Gli avvocati per la stessa unità di popolazione in Francia, Germania e Spagna sono, rispettivamente, meno di 100, circa 200 e circa 310.
Nonostante ciò, i magistrati italiani sono ai primissimi posti per l’operatività: riescono ad affrontare il 120% delle cause, cioè a risolvere tutti i casi entranti, più parte degli arretrati. Questo comporta che, sebbene la giustizia italiana sia lenta, ha il tasso di “clearance rate” tra i più alti dell’Unione, assieme alla Slovacchia. I nostri magistrati sono pochi e lavorano molto, ma non sono sottoposti ad alcun obbligo di formazione continua, che invece è regolarmente previsto in altri stati membri, tra cui spicca l’Olanda, che accanto alla formazione generale durante il servizio, contempla come obbligatoria la formazione specifica sulla gestione manageriale del tribunale e sull’uso delle tecnologie informatiche.
Questa l’altra nota dolente per la giustizia italiana: mentre Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Ungheria hanno un livello di informatizzazione dei processi del 100%, in Italia solo il 60% delle corti consentono di monitorare online lo stato del procedimento e una percentuale ancora minore (circa il 35%) offrono la possibilità di istruire un processo che sia telematico dall’inizio alla fine. C’è da dire che, rispetto alle rilevazioni del 2013 (definito da alcuni annus horribilis della giustizia italiana), la situazione è migliorata. Tuttavia questa crescita è ancora troppo lenta per permettere all’Italia di stare al passo con gli standard europei ed evitare le sanzioni cui, purtroppo, siamo ormai abituati.
(V.D. per NL)