Come purtroppo prevedibile, il tema più discusso durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2011, tenutasi lo scorso 28 gennaio, ha riguardato i lunghi tempi della giustizia.
Il Primo Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, nella propria relazione sull’andamento della giustizia nel 2010, ha individuato nel numero eccessivo di avvocati in Italia, 32 legali per ogni giudice contro gli 8 in Francia, uno degli elementi che contribuisce ad appesantire i procedimenti ed ad allungare i tempi per la soluzione delle controversie. All’enorme numero di avvocati, poi, corrisponde una costante diminuzione del personale addetto alle cancellerie. A ciò si aggiunga che la macchina giudiziaria non riesce a far fronte all’eccessivo tasso di litigiosità tipica italiana, che sfocia in una smisurata domanda di giustizia. A riguardo, è significativo rilevare come l’Italia sia stata condannata a pagare nel 2008 indennizzi per l’eccessiva durata dei processi per circa 81 milioni di euro. Il Procuratore Generale della Suprema Corte, Vitalino Esposito, ha evidenziato a tale proposito l’insolvenza dello stato italiano, considerato che di tali indennizzi ben 36 milioni e mezzo di euro “non risultano pagati malgrado l’esecutività del titolo”. Lo stato, denuncia il Procuratore Generale, “preferisce pagare invece di risolvere la problematica dell’esorbitante durata dei processi ma, per di più, non è neppure in grado di assolvere a tali obblighi di pagamento”. Il 2 dicembre scorso, ricorda Vitalino Esposito, il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha denunciato come i tempi eccessivi del sistema giustizia italiano “costituiscono un grave pericolo per il rispetto dello stato di diritto, conducendo alla negazione dei diritti consacrati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Secondo Ernesto Lupo l’eccessiva domanda di giustizia dipende da un lato dalla necessità di risposta in nuove materie che affrontano e tutelano particolari dinamiche sociali – quali ad esempio la tutela della privacy, le tematiche antitrust, le nuove figure dei rapporti di lavoro, le operazioni finanziarie ed assicurative – dall’altro da una prassi volta ad abusare appositamente del ricorso al giudice al fine di procrastinare l’adempimento di obbligazioni o, comunque, per scopi diversi rispetto all’interesse di ottenere giustizia. Tali iniziative giudiziarie, di carattere seriale ed aventi ad oggetto controversie di modesto valore, intasano gli uffici giudiziari impegnando in modo sproporzionato, rispetto agli interessi in gioco, le energie dei giudici di primo grado. Si spera in un maggiore utilizzo dei meccanismi di conciliazione e di mediazione per la soluzione delle controversie nonché nell’utilizzo del c.d. procedimento sommario di cognizione per le controversie civili, procedura snella che potrebbe applicarsi a tutti i procedimenti di cognizione che non presentino complessità istruttorie particolari. Per quanto attiene ai procedimenti penali, Lupo ha sostenuto che “non esiste sistema processuale che possa far fronte in tempi ragionevoli all’abnorme numero di fatti che sono considerati reati nel nostro ordinamento”. Lupo ed Esposito hanno auspicato, quindi, un nuovo intervento legislativo di depenalizzazione, dal momento l’ultimo intervento organico in materia risale al 1999. Il Primo Presidente ed il Procuratore Generale della Corte di Cassazione hanno poi difeso l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche ed ambientali quale prezioso strumento di indagine. Tali mezzi di ricerca della prova, se utilizzati nel rispetto delle regole, secondo Lupo costituiscono uno strumento processuale di indagine fondamentale senza cui “le armi da opporre alla criminalità organizzata sarebbero non soltanto spuntate ma prive di qualsiasi efficacia”. Il Primo Presidente della S.C. ha concluso il proprio discorso citando il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, auspicando che giudici e pm continuino ad adempiere alle loro funzioni secondo il modello di «un giudice capace, per la sua indipendenza, di assolvere un cittadino in mancanza di prove della sua colpevolezza, anche quando il sovrano o la pubblica opinione ne chiedono la condanna, e di condannarlo in presenza di prove anche quando i medesimi poteri ne vorrebbero l’assoluzione». (D.A. per NL)